Alzi la mano
il videogiocatore ultratrentenne privo di un backlog di titoli ancora da
fruire, accumulato sullo scaffale nell'angolo più nerd di casa o nella sua
versione più moderna digital-only. Eccomi, braccio levato, reo confesso. Ma non
si tratta solo di acquisti compulsivi effettuati in momenti della vita poco
propensi al sollazzo videoludico. Microsoft e soprattutto Sony ci stanno pure
mettendo del loro, "regalando" mensilmente giochi piuttosto
interessanti ai propri abbonati. Non tutto oro colato, chiaro, ma spesso titoli
che, per il sottoscritto, sono sempre stati suscettibili d'interesse,
nonostante quel briciolo di sporadica ragione ne avesse sempre evitato
l'acquisto oneroso.
Detto ciò,
quale momento migliore di questa prima fase di next-gen così avara di triple A
per dedicarsi a godere un po' di quanto accumulato? Così, dopo Beyond Two Souls
(apprezzatissimo, ma già discusso in questa sede da Alberto) è stata la volta
di Catherine, titolo Atlus (quelli di Persona per intenderci) di cui l'anno
passato diversi filmati suscitarono la mia curiosità, ma senza farmi davvero
capire quale diavolo fosse la natura del gioco. E ora so perché: Catherine è un prodotto assolutamente originale, certo non perfetto, ma tanto
tanto diverso da qualsiasi altro titolo più o meno recente (e, a mia memoria,
anche molto più datato).
Qui si
affrontano i temi delle relazioni di coppia, dell'amore, della fedeltà e del
tradimento, del matrimonio, del diventare genitori, dei
doveri dell'essere adulti, del cambiamento, tutto unito in
una sceneggiatura dai toni thriller. E già fin qui si raffigura qualcosa di
inusuale. Se poi il mezzo rappresentativo è una combinazione di digital
novel/adventure e puzzle/platform game, ne deriva un cocktail parecchio
esotico, ricco di retrogusti poco riconoscibili ed ingredienti bizzarri. Come,
ad esempio, il protagonista, tale Vincent, perfetto stereotipo dell'antieroe
moderno: impiegato senza particolari ambizioni, perditempo da compa alcolica, fidanzato
da sempre ma non ancora abbastanza pronto per il grande salto. Non proprio il
profilo del protagonista dei videogiochi che vanno per la maggiore, piuttosto
ritratto del ragazzo medio, combattuto tra il sogno dell'eterna giovinezza e la
necessità di un adulto pragmatismo. E proprio il sogno, l'incontrollabile
inconscio notturno, è in Catherine il collante tra le due meccaniche di gioco,
tra i momenti più narrativi e quelli puramente ludici.
È
un dualismo guidato da un sovrannaturale, onirico giudice (e carnefice) di
anime maschili troppo deboli. Senza spoilerare oltre (che poi chi voleva
giocarlo ormai l'avrà fatto, ma non si sa mai), è dicotomia costante anche per
le scelte offerte: egoista o altruista, fedele o traditore, bravo o
"birichino"... E Katherine o Catherine, le due bellezze quasi omonime
che tentano, tormentano, inguaiano Vincent, obbligando a continue scelte
etico-morali. Un susseguirsi di opzioni binarie per ramificazioni esponenziali,
narrate con sequenze ben scritte, dialoghi ricchi di diramazioni ed i succitati
livelli puzzle a raffigurare il passaggio per una sorta di purgatorio dantesco,
tra metafore iconografiche (le “pecore” su tutte), trovate brillanti e sviluppi
tutt'altro che scontati, fino ad arrivare ad uno dei molteplici finali (dicono
otto dalla regia).
Ma se fi qui non ho fatto altro che tessere le lodi di Catherine, è tempo di illustrarne anche i difetti, quasi tutti localizzabili nelle sequenze puzzle. In pratica si tratta di scalare torri di cubi arrampicandosi su di essi e spostandoli all’occorrenza per creare scale o appigli, mentre un conto alla rovescia determina l’eliminazione progressiva dei blocchi a partire da quelli più bassi. Aggiunge poi varietà una diversificazione dei cubi stessi: alcuni ghiacciati e quindi scivolosi, alcuni esplosivi, altri fragili, altri ancora inamovibili. Detto così potrebbe anche funzionare, e più o meno lo fa, ma il bilanciamento della difficoltà risente di un design dei livelli non sempre impeccabile. La formula trial&error risulta abusata, mentre il rischio frustrazione resta sempre presente anche a livello “facile” ed il fattore "C" troppo spesso prevale forzatamente sulle abilità intellettivo-strategiche del giocatore. L’aggiunta a posteriori di una modalità very-easy in alcune regioni suona d’altra parte come una poco velata ammissione di colpa da parte degli sviluppatori. Che pure sono imputabili di alcuni problemi nel controllo dei movimenti, davvero strano considerandone il carattere assolutamente digitale (si può giocare tutto con la croce direzionale), e della visuale, soprattutto per quel che riguarda il lato B dello stage, sebbene le regole di gameplay lo suggeriscano e a volte lo rendano addirittura necessario. Ciò nonostante, le sezioni puzzle-oniriche riescono comunque a divertire, vuoi anche per la spinta motivazionale che l'intrigante sceneggiatura sa generare in ogni comparto, rendendo l’intera esperienza meritevole d’interesse e, se non dei miei soldi, quanto meno di un po’ del mio tempo. Backlog -1, avanti il prossimo.
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