martedì 11 febbraio 2014

Sto invecchiando. Trentacinque primavere (ed altrettanti inverni, autunni, estati…) sono ormai passate e la mia percezione verso il videogioco è radicalmente mutata nell’ultima decade e ancor di più nell’ultimo lustro. Per carità, mi piace ancora scomodare un folto numero di santi con New Super Mario Bros U o Killer Instinct, ma sta lentamente prevalendo in me la tendenza ad affrontare avventure dall’alto impatto cinematografico. Quelle dove giochi poco e guardi tanto. Tipo questo. Avercene tra l’altro di “giochi” come The Walking Dead. Alzi la mano chi non si è sentito coinvolto per il destino della piccola e dolce Clementine. Con questo spirito mi sono avvicinato, durante le vacanze di Natale, a due esperienze videoludiche che di gioco hanno ben poco, seppure con dei distinguo ben precisi.



La prima “esperienza”, perché qui si può parlare di tutto ma non di videogioco, si chiama Beyond: Due Anime. Sì, quel Beyond, quello che si è preso tanta pupù in faccia dalla stampa di settore. Quello che ha SETTANTA di media su Metacritic. Ora, non dico che sia IL capolavoro della passata generazione, ma un mesto “70” quando poi ci sono giochi che hanno questa o questa media, proprio no. Vero, il gioco ha le sue pecche e non raggiunge mai le vette toccate da Heavy Rain. Raggiunge sicuramente gli stessi buchi narrativi, ma le vette no. Eppure Beyond mi ha coinvolto, mi ha anche sinceramente emozionato durante alcune sequenze (la festa di compleanno, gli incubi della piccola Jodie, la sequenza finale). È credibile, è quanto di più vicino alla vera recitazione. Non ho visto una versione digitalizzata di Ellen Page… ho visto la vera Ellen Page. Esiste un videogioco più credibile a livello recitativo? Io dico di no. E solo abbattendo questa barriera ci si può davvero emozionare e sentire coinvolti per le avventure di un personaggio virtuale. Tra le altre cose non mi sento di condividere le critiche per i risvolti paranormali che hanno fatto gridare allo scandalo tanti giocatori e riemergere spiacevoli rigurgiti ormai giustamente sepolti. Nel paranormale bisogna crederci, nel senso che bisogna accettarlo, altrimenti l’opera di David Cage rischia senza dubbio di risultare indigesta. Come bisogna credere agli zombi di The Walking Dead. Mica ho sentito nessuno dire “eh ma non è reale perché ci sono gli zombie!”. Chissà poi perché, visto che è più probabile che esistano gli spiriti piuttosto che un morto vivente che mangia cervelli. Cosa mi ha davvero appassionato di Beyond: Due Anime? Innanzitutto il rapporto, che tornerà centrale anche nel secondo gioco analizzato, tra i due protagonisti: il filo virtuale che li lega è come una corda impossibile da spezzare, perché dopo qualche ora si passa dal fastidio per Aiden (l’entità che accompagna Jodie nel corso del gioco) ad un vero e proprio amore perché parte eterea di una stessa mela. Jodie e Aiden sono una cosa sola e vanno amati come singola entità. Si aiutano, superano insieme le difficoltà e la storia vive, pulsa e commuove proprio per il modo in cui viene raccontato questo loro rapporto di amore/odio. Certo, c’è ben poco da giocare e quel poco che c’è è pure tremendamente banale, ma rimane ciò che per me conta sempre di più: il percorso. Perché si tratta di un vero e proprio viaggio, un percorso di crescita d’età e spirituale della (dei) protagonista(i). Difficile rimanerne indifferenti, difficile non amare Jodie e non prenderne a cuore le paturnie adolescenziali, gli incubi notturni, la sua lotta con se stessa e con lo spirito che ne accompagna il percorso di vita.



Il secondo risponde al nome di Brothers: A tale of Two Sons. Gioco flash, nel senso che scorre via che nemmeno te ne accorgi e dopo tre ore lo riponi nel ripiano (virtuale) della collezione Arcade su Xbox Live. Scopo del gioco, per chi fosse a digiuno di conoscenza dell’opera indie di Starbreeze (Riddick, The Darkness e l’ultimo Syndicate), è quello di guidare due fratelli in un lungo viaggio alla ricerca di una medicina necessaria per salvare la vita del padre, consumato da una lenta ma inesorabile malattia. Seppur semplice ed a tratti persino troppo guidato, Brothers: A tale of Two Sons è un gioco con testa, carattere e tanti buoni sentimenti. Testa e carattere sono infusi nel peculiare gameplay: è vero, si “gioca” molto poco ma quello che si fa è stato ideato e messo su schermo con idee e precisione. Si controllano entrambi i fratelli, dividendo il joypad in due precise e perfette metà (anche qui, come la metafora della mela). Lo stick analogico sinistro muove un fratello, quello destro muove l’altro. Per superare ostacoli, ponti, burroni e staccionate è quindi necessario far cooperare i due fratelli ed il proprio cervello (che rischia di incasinarsi a causa dell’obbligo di controllare contemporaneamente due personaggi): c’è un ponte da abbassare? Il più piccolo (e ovviamente più debole) corre su una ruota per abbassarlo e continua a correre fino a quando il più grande non supera l’ostacolo, prende tra le braccia una pecora e la colloca sulla ruota al posto del fratello, permettendo quindi ad entrambi di passare. A colpi di semplici puzzle si prosegue in un’avventura sicuramente breve, ma decisamente forte dal punto di vista emozionale. Tutto poggia sul rapporto tra i due fratelli, sul loro amore, sul loro istinto di sopravvivenza, sulla necessità di stare insieme per riuscire a portare a termine un’avventura che a volte sembra troppo grande per due ragazzini che hanno tanto ingegno ma scarse capacità di combattimento. E tutto questo, appunto, senza mai combattere, senza mai dare fendenti di spada e soprattutto senza AK-47 e altre armi sparapiombo. E praticamente senza dialoghi, perché i due fratelli parlano una lingua a noi sconosciuta e non ci sono sottotitoli a spiegare il significato di quel linguaggio incomprensibile. Perché uno sguardo ed un abbraccio sono molto più forti di qualsiasi parola…


Tutto questo per dire… è davvero necessario “giocare” con i videogiochi? Lo so, è un controsenso insito nella stessa parola: video-gioco. Quindi devo giocare. Ma siamo ancora rimasti ancorati ad una parola? Oppure vogliamo davvero che i videogames vengano equiparati ad altre arti come il cinema? Beyond: Due Anime e Brothers: A Tale of Two Sons un piccolo passo verso l’arte, a mio avviso, lo fanno.

Unknown
Scritto da Unknown

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