martedì 18 febbraio 2014





Domenica 16 Febbraio 2014. Svegliarsi con la calma regale che il weekend (leggasi bagordi della sera prima) impone. Caffè lungo, croissant alla Nutella, "Xbox On", My Sky "Play" (lo ammetto, sono uno dei pochi che usa il pass-through HDMI) e vai di NBA All Star Saturday. Via veloci i primi due contest a squadre: robetta... Meglio quelli classici, i tiri da tre e le schiacciate. E poco dopo ritrovarsi lì col cuore palpitante come durante quei celeberrimi, "infartanti" cinque rigori la sera del 9 Luglio 2006. Ok forse il paragone non regge, ma, pur in maniera più pacata, la sensazione era quella, sfociata poi nella più classica della battuta di petto piena d'orgoglio nazionale alla vittoria del nostro Belinelli nel three-point contest.




Evento unico nella storia del basket italiano, che ogni sportivo totale dovrebbe riconoscere come, chessò, la vittoria di un pallone d'oro. O forse no. Ma non è questo il punto. È che il basket a stelle e strisce mi esalta: veloce, potente, tecnico, spettacolare, ristretto a pochi eletti e dalla cadenza continua. L'assurdo è che tale amore iniziò, prima che con una pratica sportiva appassionata ma drammaticamente poco proficua, con la "simulazione" videogiocosa del '95 targata EA/Hitmen Productions  - di cui ancora gelosamente conservo copia CD-ROM nel suo bel package in cartone.


Ok ok, ora voi oggi lo vedete così, avvizzito ed invecchiato come il sottoscritto. Ma vi assicuro che ai tempi quella sua prospettiva isometrica, quella manciata di pixel unita ad un gameplay all'epoca inedito così come il popò di licenze che l'accompagnava... beh era uno spettacolo bello tanto quanto le rubriche con Peterson e Bagatta. Tanto coinvolgente da imporre alla cerchia di amici un torneo o, meglio, un'intera stagione in multiplayer locale (oh, quello c'era), svoltasi presso spaziosa casa di compagno di merende, parimenti esaltato, nell'arco di un numero indeterminato di affollatissimi mercoledì sera. Che ricordi! Certo, avrei preferito che quello storico sorteggio non mi avesse affibbiato la gestione dei Clippers precludendo ogni mia speranza di vittoria, ma tant'è...

E poi... E poi il vuoto, videoludo-cestisticamente parlando, se non per una breve e solitaria parentesi su PSX. Anni, soprattutto i più recenti, in cui ovunque leggevo del lento declino della serie EA Sports a favore della concorrenza targata 2K Games: La Simulazione Definitiva, mille modalità di gioco, atmosfera alle stelle. Anno dopo anno in evoluzione continua. Ed io a dirmi "prima o poi" e nel mentre acquistare anche un paio di copie dal cesto delle occasioni a fine stagione… Ma sapevo che provandolo, e volendolo davvero provare per bene, avrei dovuto dedicargli una buona percentuale del mio ahimè risicato tempo libero, a scapito dei mille altri hobby o più semplicemente di altri titoli meno esigenti. Ma ad un certo punto, 22 Novembre 2013, arriva la tanto attesa next-gen e i pre-order delle due nuove console si concretizzano nel mio salotto. Poche ore su Ryse, un giro a Killzone, due derapate con Forza e pure qualche lunga sessione a Resogun. Bello tutto, più o meno, ma voglia di stupore next-gen a mille nonostante il backlog garantito da PlayStation Plus e qualche cellophane ancora intatto. Intanto, di nuovo, tutti a decantare la meraviglia estetica e ludica di NBA 2K14... Il momento era giunto, coadiuvato da un rinnovato interesse per il basket d'oltreoceano.


Settanta euro circa (!!!) e pronti via. Ok, riformulo: pronti, installazione su Xbox One, via. Partita dimostrativa a freddo, prestazione pessima ma spettacolo visivo memorabile. È l'NBA di Sky Sport, e non solo per quello che si vede sul campo (ma quante centinaia di possibili animazioni hanno motion-capturato????): il commento televisivo, le interviste RealVoice prima, durante e dopo la partita, il pubblico, le panchine, gli allenatori, tutto tutto tutto. A prima vista è il sogno di quei ragazzetti che si trovavano ogni mercoledì. E seppur il primo impatto agonistico sia stato avvilente, il senso che sogno sarà anche alla seconda, terza, quarta ed ennesima sessione già era forte.

E così è stato, nonostante (ma anche per merito di) una curva di apprendimento tosta proprio quanto mi sarei aspettato (motivo del mio ultradecennale rimando). NBA 2K14 è l'abc(D) dell'esame continuo, dove i voti da scuola anglosassone accompagnano ogni singolo momento dell'esperienza, valutando oggettivamente ogni singola giocata, quasi ogni pur delicata inclinazione dell'analogico destro, nell'ottica del bene collettivo di squadra. Meglio si fa, più moneta virtuale si incassa, più si può sviluppare il proprio giocatore acquistando skills, animazioni, training speciali… oppure abbigliamento per il campo e non, almeno finché un bel giorno arrivano i ricchi  sponsor desiderosi di vendere scarpe col tuo nome. Ci si possono spendere pure soldi veri, acquistando valuta del gioco e quindi crescere più velocemente. E l'ho fatto inizialmente, peccando d'impazienza, per poi rendermi conto che non era affatto necessario. È questione di ritmo: una volta ingranato le risorse arrivano regolarmente, tanto più se si fa buon uso della companion app per sistemi iOS (e credo anche Android) grazie a cui ricevere diversi bonus giornalieri a patto di dedicarci pochi minuti ogni ventiquattr'ore. È la modalità My Career: un solo giocatore da controllare, da vivere, da crescere nel mondo NBA, dal draft dei rookie fino al ritiro parecchi anni dopo.


La curva di apprendimento è tosta, ma il tutto è talmente addictive che non si può fare a meno di continuare  e continuare, e alla fine scoprire che tanto male poi non si è. Certo le stats sono cresciute nel mentre, e da tre, libero da marcature, hai percentuali da Belinelli… ma qui sta il godimento. Qui e nel pacchetto schiacciate alla Jordan appena acquistato, oppure nella capacità di rubar palla che solo Stockton sapeva far meglio, e poi nel leggere i commenti dei fan, o degli antagonisti sul campo, sui social network.


E' una progressiva, continua evoluzione, da ultima riserva a sesto uomo, quindi in quintetto, poi leader della squadra per l'esplosione definitiva ai play-off, dopo aver conquistato strada vincendo il titolo di MVP tra i rookie al Rising Star Challenge, spappolato il fegato di qualche collega rosicone e pure preso paterne mazzate dal buon Lebron e non solo… Tanta tanta roba, giocando e vivendo virtualmente l'esperienza del personaggio pubblico oltre a quella dell'aitante giocatore.

Tutto perfetto quindi? No di certo. Il margine di miglioramento resta alto, ma qui forse è il caso di parlare di perfezionamento, o re-inclusione di modalità presenti nelle edizioni passate. Certo stridono i silenzi sottotitolati dell'allenatore nei colloqui privati, o la ripetitività dei dialoghi col GM. E l'audio azzerato nei clip di gioco taglia l'emozione dei ricordi (cfr. video qui sopra). Chiede vendetta l'iterazione di Kinect quando ha da gestire il multi locale con due o più persone pad alla mano (e qui meglio disattivarlo del tutto) anche se poi stupisce quando l'imprecazione a seguito dell'ennesima palla persa si traduce nella chiamata di un fallo tecnico. Semplice, naturale, ma comunque nuovo, almeno per il sottoscritto. In un tutto non perfetto, but really addictive (detto alla maniera di Buffa).

Addicted? Certo, al 100%. Perché questa era l'esperienza che desideravo. E l'ho goduta appieno. E ne voglio ancora. Magari a dosi un po' più diluite per dar spazio anche ad altro (tra cui la scrittura di qualche post qui sul blog). Ma c'è ancora molto da vedere, da vincere. Voglio essere il nuovo Belinelli l'anno prossimo, voglio che gli Heat mi implorino di giocare con James. Voglio la Hall of Fame. Voglio. In NBA 2K14 posso.

E questo è solo "My career" giocato offline...  È il momento di imparare a gestirne 5 e lanciarsi in una lega online. L'amico di 20 anni fa o, meglio, suo padre ringrazia internet, mentre io vi invito a contattarmi per metterla davvero in piedi questa lega.
Unknown
Scritto da Unknown

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