Evento unico
nella storia del basket italiano, che ogni sportivo totale dovrebbe riconoscere
come, chessò, la vittoria di un pallone d'oro. O forse no. Ma non è questo il
punto. È che il basket a stelle e strisce mi esalta: veloce, potente, tecnico,
spettacolare, ristretto a pochi eletti e dalla cadenza continua. L'assurdo è
che tale amore iniziò, prima che con una pratica sportiva appassionata ma
drammaticamente poco proficua, con la
"simulazione" videogiocosa del '95 targata EA/Hitmen Productions - di cui ancora gelosamente conservo copia CD-ROM nel suo bel package in cartone.
Ok ok, ora
voi oggi lo vedete così, avvizzito ed invecchiato come il sottoscritto. Ma vi
assicuro che ai tempi quella sua prospettiva isometrica, quella manciata di
pixel unita ad un gameplay all'epoca inedito così come il popò di licenze che
l'accompagnava... beh era uno spettacolo bello tanto quanto le rubriche con
Peterson e Bagatta. Tanto coinvolgente da imporre alla cerchia di amici un
torneo o, meglio, un'intera stagione in multiplayer locale (oh, quello c'era),
svoltasi presso spaziosa casa di compagno di merende, parimenti esaltato,
nell'arco di un numero indeterminato di affollatissimi mercoledì sera. Che
ricordi! Certo, avrei preferito che quello storico sorteggio non mi avesse
affibbiato la gestione dei Clippers precludendo ogni mia speranza di vittoria, ma tant'è...
E poi... E
poi il vuoto, videoludo-cestisticamente parlando, se non per una breve e
solitaria parentesi su PSX. Anni,
soprattutto i più recenti, in cui ovunque leggevo del lento declino della serie
EA Sports a favore della concorrenza targata 2K Games: La Simulazione Definitiva,
mille modalità di gioco, atmosfera alle stelle. Anno dopo anno in evoluzione
continua. Ed io a dirmi "prima o poi" e nel mentre acquistare anche un
paio di copie dal cesto delle occasioni a fine stagione… Ma sapevo che
provandolo, e volendolo davvero provare per bene, avrei dovuto dedicargli una
buona percentuale del mio ahimè risicato tempo libero, a scapito dei mille
altri hobby o più semplicemente di altri titoli meno esigenti. Ma ad un certo
punto, 22 Novembre 2013, arriva la tanto attesa next-gen e i pre-order delle
due nuove console si concretizzano nel mio salotto. Poche ore su Ryse, un giro
a Killzone, due derapate con Forza e pure qualche lunga sessione a Resogun.
Bello tutto, più o meno, ma voglia di stupore next-gen a mille nonostante il
backlog garantito da PlayStation Plus e qualche cellophane ancora intatto. Intanto, di
nuovo, tutti a decantare la meraviglia estetica e ludica di NBA 2K14... Il
momento era giunto, coadiuvato da un rinnovato interesse per il basket
d'oltreoceano.
Settanta
euro circa (!!!) e pronti via. Ok, riformulo: pronti, installazione su Xbox One, via.
Partita dimostrativa a freddo, prestazione pessima ma spettacolo visivo
memorabile. È l'NBA di Sky Sport, e non solo per quello che si vede sul campo
(ma quante centinaia di possibili animazioni hanno motion-capturato????): il
commento televisivo, le interviste RealVoice prima, durante e dopo la
partita, il pubblico, le panchine, gli allenatori, tutto tutto tutto. A prima
vista è il sogno di quei ragazzetti che si trovavano ogni mercoledì. E seppur
il primo impatto agonistico sia stato avvilente, il senso che sogno sarà anche
alla seconda, terza, quarta ed ennesima sessione già era forte.
E così è
stato, nonostante (ma anche per merito di) una curva di apprendimento tosta
proprio quanto mi sarei aspettato (motivo del mio ultradecennale rimando).
NBA 2K14 è l'abc(D) dell'esame continuo, dove i voti da scuola anglosassone
accompagnano ogni singolo momento dell'esperienza, valutando oggettivamente
ogni singola giocata, quasi ogni pur delicata inclinazione dell'analogico
destro, nell'ottica del bene collettivo di squadra. Meglio si fa, più moneta
virtuale si incassa, più si può sviluppare il proprio giocatore acquistando
skills, animazioni, training speciali… oppure abbigliamento per il campo e non,
almeno finché un bel giorno arrivano i ricchi
sponsor desiderosi di vendere scarpe col tuo nome. Ci si possono
spendere pure soldi veri, acquistando valuta del gioco e quindi crescere più
velocemente. E l'ho fatto inizialmente, peccando d'impazienza, per poi rendermi
conto che non era affatto necessario. È questione di ritmo: una volta
ingranato le risorse arrivano regolarmente, tanto più se si fa buon uso della
companion app per sistemi iOS (e credo anche Android) grazie a cui ricevere diversi
bonus giornalieri a patto di dedicarci pochi minuti ogni ventiquattr'ore. È la
modalità My Career: un solo giocatore da controllare, da vivere, da crescere
nel mondo NBA, dal draft dei rookie fino al ritiro parecchi anni dopo.


La curva di
apprendimento è tosta, ma il tutto è talmente addictive che non si può fare a
meno di continuare e continuare, e alla
fine scoprire che tanto male poi non si è. Certo le stats sono cresciute nel
mentre, e da tre, libero da marcature, hai percentuali da Belinelli… ma qui sta
il godimento. Qui e nel pacchetto schiacciate alla Jordan appena acquistato,
oppure nella capacità di rubar palla che solo Stockton sapeva far meglio, e poi
nel leggere i commenti dei fan, o degli antagonisti sul campo, sui social
network.
E' una
progressiva, continua evoluzione, da ultima riserva a sesto uomo, quindi in
quintetto, poi leader della squadra per l'esplosione definitiva ai play-off,
dopo aver conquistato strada vincendo il titolo di MVP tra i rookie al Rising
Star Challenge, spappolato il fegato di qualche collega rosicone e pure preso
paterne mazzate dal buon Lebron e non solo… Tanta tanta
roba, giocando e vivendo virtualmente l'esperienza del personaggio pubblico
oltre a quella dell'aitante giocatore.
Tutto
perfetto quindi? No di certo. Il margine di miglioramento resta alto, ma qui
forse è il caso di parlare di perfezionamento, o re-inclusione di modalità
presenti nelle edizioni passate. Certo stridono i silenzi sottotitolati
dell'allenatore nei colloqui privati, o la ripetitività dei dialoghi col GM.
E l'audio azzerato nei clip di gioco taglia l'emozione dei ricordi (cfr. video qui sopra). Chiede vendetta l'iterazione di Kinect quando ha da gestire il multi locale con
due o più persone pad alla mano (e qui meglio disattivarlo del tutto) anche se
poi stupisce quando l'imprecazione a seguito dell'ennesima palla persa si
traduce nella chiamata di un fallo tecnico. Semplice, naturale, ma comunque
nuovo, almeno per il sottoscritto. In un tutto non perfetto, but really
addictive (detto alla maniera di Buffa).
Addicted?
Certo, al 100%. Perché questa era l'esperienza che desideravo. E l'ho goduta
appieno. E ne voglio ancora. Magari a dosi un po' più diluite per dar spazio
anche ad altro (tra cui la scrittura di qualche post qui sul blog). Ma c'è
ancora molto da vedere, da vincere. Voglio essere il nuovo Belinelli l'anno
prossimo, voglio che gli Heat mi implorino di giocare con James. Voglio la Hall
of Fame. Voglio. In NBA 2K14 posso.
E questo
è solo "My career" giocato offline... È il momento di imparare a gestirne 5 e
lanciarsi in una lega online. L'amico di
20 anni fa o, meglio, suo padre ringrazia internet, mentre io vi invito a
contattarmi per metterla davvero in piedi questa lega.
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Di
martedì, febbraio 18, 2014


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