mercoledì 16 luglio 2014


Che i canoni della vita da quarantenne, o giù di lì, fisiologicamente riducano lo spazio (video)ludico, quello temporale intendo, è fatto appurato, da cui spesso consegue l'allontanamento da quel che risulta troppo impegnativo in termini di dedizione, sia esso riservato al "training" (leggasi online competitivo) o dovuto a pura longevità (Skyrim perdonami!!).

Questo, ahimè, rappresenta esattamente la mia condizione, che comunque non frena la crescita compulsiva del backlog acquistato e mai fruito, ma si tratta di tutt'altra questione che non è il caso approfondire ora. Dicevamo poco tempo per giocare, quindi (in)conscia, progressiva predilezione per titoli più immediatamente accessibili, brevi o quantomeno razionabili. Un catalogo realmente fruibile più ristretto quindi, invaso da produzioni indie, per natura più difficili da valutare e selezionare, ma comunque ricco di perle, alcune preziose tanto quanto i blockbuster tripla A. Anzi, sembra che pure le grandi case siano sempre più interessate a questo segmento di mercato: Microsoft e Sony certamente, in primis come publisher, e più recentemente Ubisoft, sviluppando internamente i propri titoli DD only. E' il caso delle ultime due produzioni realizzate con il motore UbiArt Framework, il primaverile Child Of Light (now playing...) e del freschissimo Valiant Hearts - The Great War. Con quali risultati? In termini qualitativi è presto detto: ottimi.



Rimandando ad un futuro prossimo un commento approfondito riguardo la sopracitata "Figlia della Luce", questo post vuole caldamente consigliare questa sorta di puzzle-adventure 2D ambientato nella Prima Guerra Mondiale, nello specifico sul fronte franco/tedesco. Direte voi, ma che ha di così buono Valiant Hearts? Tutto, o quasi. Partiamo dal lato artistico: non il solito war game ultrarealistico alla COD, ma fumettosi disegni animati, tanto ispirati quanto capaci di raffigurare personaggi, situazioni ed emozioni in ogni loro sfaccettatura, con una grazia ed espressività che solo le immagini, specie se in movimento, sanno pienamente descrivere: un esercizio di stile da premiare e, spero, riproporre.

Lo è pure la scelta di non usare dialoghi tra i personaggi, ma semplici nuvolette con pittogrammi, pienamente efficaci ed immediati. C'è comunque un comparto vocale, limitato però ad un buon narratore durante le scene di intermezzo e alle "vocine di fondo" degli NPC nella loro lingua d'origine, distinguendone la nazionalità e contribuendo all'atmosfera acustica coadiuvando una colonna sonora a dir poco azzeccata, basata su toni classici, malinconici e drammatici, ma punteggiata di momenti più ritmici, studiati in maniera impeccabile. Impossibile non citare i pezzi tratti dal repertorio francese di inizio '900 ad accompagnare, anzi, coreografare le sessioni di guida.


Ma come, non era un puzzle-adventure? Sì certo, ma con qualche piacevole innesto, tipo l'elemento stealth e, appunto, alcune sezioni su strada che evito di descrivere per non precluderne la piacevole scoperta. Il resto consiste di rompicapi ambientali e meccanici, da risolversi tramite l'utilizzo alternato di quattro personaggi più un fido compagno a quattro zampe, tanto coraggioso ed ubbidiente quanto coccoloso. I quattro hanno ognuno un proprio ben delineato passato e valide giustificazioni per essere come e dove sono, nonché - ovvio - abilità differenti, a sostenere e variare le meccaniche di gameplay, pur preservandolo nei limiti del gioco "rilassante". Forse le sezioni da crocerossina possono risultare un filo ripetitive nella loro natura QTE, ma riescono comunque a trasmettere l'angosciante urgenza e delicatezza del gesto curativo, tanto più se rivolto ad uno degli altri personaggi principali.


È proprio l'intreccio narrativo dei quattro (cinque) protagonisti a rendere la storia drammatica ed avvincente, spingendo il giocatore a consumare avidamente le 7-8 ore offerte da un gioco che vuole non solo divertire ed emozionare, ma pure insegnare. Arte, gameplay e sceneggiatura riescono già di loro a raffigurare gli orrori della Grande Guerra con sintetica efficacia, quindi tutta una serie di collezionabili e note storiche offrono interessanti spunti di approfondimento. Al di là del PEGI 12, Valiant Hearts - The Great War è titolo da consigliare a tutti, anche ai bambini in età elementare purché accompagnati da genitori preparati o, perché no, insegnanti di scuola "progressisti". Giocatelo, tutti, perché questo è il miglior tributo che l'ottava arte poteva riservare ai caduti del primo conflitto nel centenario dal suo sciagurato inizio.
Ai grandi del mondo: mai più, vi prego. A chi sviluppa videogiochi: ancora per favore.
Unknown
Scritto da Unknown

3 commenti:

  1. Hai condensato bene quello che è il mio pensiero sul gioco. Si parla tanto di violenza nei videogiochi, di ragazzi che sono più aggressivi perché pronti ad emulare le gesta dei propri beniamini virtuali... perlomeno questo è ciò che ne esce in molti stupidi e bigotti servizi televisivi. Perché allora non far vedere questo titolo in TV? Qui siamo di fronte ad un titolo emozionante (sì, alla fine scende anche la lacrimuccia), didattico, offre diverse informazioni sulla Prima Guerra Mondiale ed è divertente. Insegnare e divertire è un pregio ad appannaggio di poche arti ed il videogioco è una di queste.

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  2. Sono un disadattato elettronico, un reduce dei videogiochi del secolo scorso.
    Ho giocato Centipede al bar. Ho frequentato le sale giochi più buie e fumose degli anni 80, quelle che incorporavano il posacenere nel cassone dei cabinati.
    Ho invidiato le console dei miei amici. Tutti i giochi che non avevo.
    Ho esaltato tutte le console che ho avuto. Ho detto “è uguale al bar” di ogni conversione che ho comprato. Mi son fatto piacere tutti i tie-in della mia collezione, compresi quelli della Ocean.
    Ho speso cifre che non potevo permettermi per giochi giapponesi e americani.
    Ho comprato il giorno dell’uscita e finito pietre miliari che tutti citano, ma che pochi hanno giocato.
    E poi?
    Poi boh. La magia è lentamente finita. Non in me, ma nei giochi. I videogiochi hanno perso l’anima.
    Mi sono accorto che qualcosa stava cambiando quando hanno smesso di emarginarmi perché mi piacevano i videogiochi. All’improvviso non era più una cosa da sfigati. All’improvviso ero come gli altri. O forse gli altri erano diventati come me.
    O forse nessuna delle due cose. Forse i videogiochi si sono lentamente allontanati da me per avvicinarsi agli altri.
    Sono stati tradotti in italiano. Resi semplici e adatti a tutti. Omogeneizzati. Serializzati. Sterilizzati.
    Ho cercato di farmeli piacere: volevo che mi piacessero come un tempo!
    Non ce l’ho fatta, ed ho dovuto arrendermi all’evidenza: i miei videogiochi sono altri.
    Sono quelli in cui percepisco la presenza di un’alito di vitalità. Giochi non sempre perfetti; a volte sgraziati. Ma con un’anima: giochi ispirati, da scoprire attraverso una vera sfida. Giochi che non perdonano il maldestro, che puniscono l’incapace e il giocatore che non si applica. Giochi da giocare tra una bestemmia, una lacrima e un sorriso. Giochi che hanno qualcosa da trasmettere sulla mia lunghezza d’onda.
    Sono gli unici che mi incuriosiscono, che mi attraggono. In poche parole che mi piacciono.
    Le grandi produzioni e le saghe infinite dei grandi titoli non mi appartengono più. Son talebano, e faccio di ogni erba un fascio. Non voglio salvare nessuna grande produzione.
    Salvo solo alcuni giochi indie. I giochi con un’anima: quelli fatti dagli appassionati più talentuosi e ispirati. Vedo questi giochi come lettere d’amore alla mia visione di videogioco. Io non so scrivere lettere d’amore, ma le capisco, perché anche io ho amato.
    Il Bombolosauro

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  3. Onorato da questa inaspettato, sentito, romantico intervento. Grazie Roberto, davvero.
    Ah, per tua info sappi che sei stato inserito tra gli autori di questo blog, posta pure quando vuoi! ;) c'è sempre voglia di poesia...

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