Nonostante il mercato videoludico sia ormai in grado di coinvolgere una platea di potenziali acquirenti sempre più ampia e variegata, è sufficiente analizzare con attenzione qualsiasi dato di vendita (tralasciando i titoli Nintendo) per avere conferma di come esso sia ancora legato a doppio filo ai videogiocatori più appassionati. Il maggior numero di copie vendute (e, di conseguenza, la fetta più consistente di ricavi) viene infatti ottenuto nelle primissime settimane del ciclo di vita del prodotto, a testimonianza di come siano ancora gli utenti più documentati e smaliziati a foraggiare, spesso con tanto di pre-order piazzati mesi prima, le casse di retailer e publisher. Un po' forzatamente, si potrebbe dire che il popolo del day-one è ancora forte, agguerrito e, soprattutto, possidente (in barba alla recente sindrome da discount di cui ho già avuto modo di parlare su queste pagine).
Sarebbe quindi naturale supporre che, in un mondo normale, questo stesso gruppo di consumatori sia oggetto di coccole e riguardi, così da ripagarne la fiducia ed innescare un meccanismo virtuoso che abbia come naturale conseguenza quella di indurlo ad ulteriori acquisti futuri. Bene. Le cose non stanno esattamente così. Io, da innumerevoli anni fiero rappresentante del popolo del day-one (fa niente poi che ogni sguardo allo scaffale del backlog rappresenti un implicito insulto alla mia persona), ultimamente mi sento infatti fortemente preso per i fondelli. Il motivo è presto detto. Non bastassero i già citati repentini cali di prezzo a cui ormai si assiste regolarmente dopo poche settimane dalla comparsa di un gioco sugli scaffali, coloro che acquistano un titolo nei primi giorni di commercializzazione hanno ormai un'altissima probabilità di trovarsi tra le mani un prodotto a tratti incompleto o, quantomeno, lontano dalla sua forma migliore, che prassi ormai consolidata vuole si manifesti solo dopo un trattamento intensivo a suon di patch multi giga della durata di una manciata di settimane (nei casi più eclatanti, anche di un paio di mesi). Gli esempi recenti sono innumerevoli. Da un Driveclub che acquisisce i fenomeni atmosferici variabili dopo due mesi esatti (!) dalla sua uscita, ad un Assassin's Creed Unity ancora claudicante dopo quasi un mese dal lancio, da un Halo: The Master Chief Collection patchato un giorno sì e l'altro pure, a titoli come Diablo 3 su Xbox One che incrementano frame rate e risoluzione con il passare dei giorni.
Insomma, stiamo arrivando al paradosso che non solo aspettando un paio di mesi dall'uscita si hanno buone probabilità di risparmiare sul prezzo di acquisto, ma si ha anche la certezza di trovarsi di fronte ad un prodotto migliore, finalmente ripulito da bug ed imperfezioni varie. In quello che è ormai un meccanismo autolesionistico, i veri appassionati che aspettavano da mesi (se non da anni) l'uscita del gioco, vengono munti come le migliori bufale da latte campane e costretti a fare da beta tester a sviluppatori ormai incapaci di seguire le stringenti timeline di multinazionali sempre più inclini a prostrarsi alle logiche di mercato e ad infischiarsene dei giocatori. La famosa frase "uscirà solo quando sarà pronto" è ormai sostituita dal più moderno "anche se non è pronto facciamolo uscire lo stesso, tanto i fessi lo comprano comunque e poi pian piano lo completiamo/sistemiamo).
Mi chiedo se tutto questo sia giusto. Mi chiedo se in nome di internet e delle indubbie opportunità di cui possono usufruire console ormai connesse 24/7 alla rete, si debba arrivare a lanciare sul mercato prodotti ancora largamente immaturi. Mi chiedo se io sia costretto a fare lavorare giorno e notte la mia misera connessione ADSL 4 mega per riuscire a stare dietro ad aggiornamenti sempre più corposi e frequenti. Mi chiedo cosa ne è dei poveri giocatori che per vari motivi non hanno a disposizione la banda larga (magari perché, semplicemente, hanno la sfortuna di abitare in una delle tante zone del Bel Paese dove esiste ancora la piaga del digital divide). Ma sopratutto mi chiedo quanto tempo ancora dovrà passare prima che ci si renda conto di come questo meccanismo perverso vada in qualche maniera interrotto. L'unica arma che ci resta è il portafoglio: se incominciassimo a tenerlo chiuso per qualche settimana in più forse le cose lentamente inizierebbero a cambiare...
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Di
mercoledì, dicembre 10, 2014





Day-One or not Day-one, thai is the question...
RispondiEliminaE la risposta, caro Gianluca, è la seconda, perché da sempre l'early adopter in ambito tecnologico é beta tester pagante. Con l'hardware, anche in ambito ludico, è sempre stato così. Col software era diverso prima della banda larga, ma ormai... L'unica soluzione per il consumatore si chiama autocontrollo, resistenza all'acquisto compulsivo. Altrimenti, finché i preorder rappresenteranno fetta ingente del venduto totale, non sarà ipotizzabile un cambio di rotta dei publisher.
Un articolo molto interessante e ben scritto, anche se condivido solo in parte. Siamo sempre stati beta tester in quanto early adopter, prima solo di console, ora anche di software. Va però detto che se ci fai caso i titoli indie magari sviluppati da poche decine di persone, non hanno nessun tipo di bug o problema particolarmente castrante. Forse di recente si può citare il solo caso di Never Alone come prodotto non completamente rifinito. I titoli moderni hanno una complessità mai raggiunta prima, nel giro di 10 anni si è passati da team di 100 persone a team di 500-1000 persone, con un aumento di variabili e complessità mai toccate prima d'ora. Aggiungiamoci che è anche difficile fare beta testing, perché si testano titoli internamente in ecosistemi dove sono presenti poche centinaia di persone, mentre quando il gioco va sugli scaffali viene magari provato contemporaneamente da milioni di persone.
RispondiEliminaTutte queste variabili portano ad una sostanziale difficoltà nel capire cosa succederà esattamente quando un titolo uscirà sul mercato. Poi, le logiche dell'acquisto al day one sono volute ed alimentate dallo stesso cliente ed ovviamente abbracciate dai publisher. A differenza di musica ed in modo particolare il cinema, il videogioco non vive seconde, terze o quarte vite. Il grosso delle vendite si esaurisce a distanza di poche settimane dal day one, non esistono altre forme di revenue e, fatta eccezione la possibilità di fare un remaster (comunque un minimo costoso), non c'è modo di ottenere guadagno su un determinato prodotto a distanza di anni. Un film che floppa al cinema puoi recuperarlo con Blu Ray e DVD prima, prime visioni su pay per view dopo, prime visioni in chiaro successivamente, diritti di seconda visione negli anni successivi. Chi fa musica ottiene la maggior parte dei suoi introiti da live ed esibizioni, così come da diritti d'immagine, passaggi su piattaforme come Spotify etc.
Nei videogiochi l'unica fonte d'introito è la vendita, che sia a distanza di un mese o di un anno. Certo, un giorno arriverà PlayStation Now e magari arriveranno altre piattaforme simili, ma per ora la situazione è questa. Quindi la data di lancio è importantissima e spero bisogna assoggettare l'uscita del videogioco alla data stessa, perché le sorti di un solo prodotto possono legarsi a doppia mandata alle sorti di un publisher...