giovedì 11 dicembre 2014

 

Alien: Isolation è il mio GOTY. Punto. Boom.
Ne ho giocati di titoli molto buoni quest’anno, su tutte le piattaforme. Dal piacevolissimo Super Mario 3D World per WiiU a The Last of Us Remastered, passando per diversi ottimi giochi tripla A (o quantomeno “doppia”), tra cui action, adventure, sportivi e pure alcuni simulatori (chi più chi meno) di guida. E non mi sono fatto mancare nemmeno certe eccellenti produzioni indie o pseudo-tali. Ma Alien, Alien: Isolation, è il mio Game Of The Year.

Non perché sia la cosa tecnicamente più spettacolare che si sia vista su console, certo che no. Intendiamoci, è buono. Ok, il conteggio poligonale in certi ambienti è solo discreto comparato a quanto l’hardware ha dimostrato di saper gestire (no, non vi dico su quale console l’ho giocato, è irrilevante), e lo spettacolo è pur minato da sporadici tentennamenti dell’engine e pachidermici caricamenti, ma il tutto è impreziosito da un’illuminazione sempre suggestiva e soprattutto da una direzione artistica tanto pregevole quanto fedele allo stile della pellicola originale, low-fi come l’immaginario fantascientifico di fine anni ’70 dettava. Quindi visivamente è buono, molto buono, ma l’eccellenza tecnica certo risiede altrove: in altri titoli se parliamo puramente di manifestazioni di forza della GPU, in Isolation stesso se consideriamo invece il comparto sonoro.

Come già discusso su queste pagine pochi giorni fa, in questo videogioco l’audio rappresenta parte fondamentale del gameplay, arricchendolo con una perfetta esecuzione di ottime idee artistiche, musicali e soprattutto effettistiche. Dal beep gracchiante del rilevatore di movimento ai passi dell’alieno a scandirne andatura e direzione, dal rumore metallico dei condotti a segnalare un qualche transito interno al respiro affannato di Ripley (la figlia di quella Ripley, qui protagonista): tutto ha un senso, una funzione, un’utilità ai fini della sopravvivenza. Oppure tutto il contrario, divenendo rischio, creando pericolo. Il controllo del suono, generato e percepito, è in sé elemento strategico chiave in Isolation, nonché rimando continuo all’immutabile ruolo di preda riservato al giocatore.


Udire l’alieno avvicinarsi con i suoi passi accelerati, nascondersi immediatamente nell’angusto spazio di un armadietto o sotto un tavolo, ritrarsi quanto più possibile per non essere scorti (perché non esiste rifugio completamente sicuro), trattenere il fiato e… pregare, pregare che la bestia se ne vada al più presto, sudare freddo mentre invece si sofferma proprio di fronte al nostro nascondiglio, scrutando ogni feritoia con massima attenzione. Una mossa e game over, non si scappa dall’alieno, a meno di non avere armi infiammabili per scacciarlo. Ma fatto una volta, tornerà più spesso, ma soprattutto più aggressivo e furbo di prima. Perché non solo è letale, invincibile e veloce, ma è anche intelligente, attento. E’ la creatura superiore, punto. Lo era nell’immaginario di Dan O’Bannon e Ridley Scott (che poi Ridley... Ripley... non ci avevo mai pensato), lo è, pienamente, pure nell’opera di Creative Assembly. È l’antagonista videoludico per eccellenza.

Da qui, ancora, l’assoluta consapevolezza di essere costantemente braccato, il diktat di ridurre al minimo il rumore generato, il rilevatore di movimento consultato ogni pochi passi e soprattutto l’udito sempre attento, perché quello è l’unico strumento davvero efficace a garantire la sopravvivenza: tutto questo rende Alien: Isolation così dannatamente capace di generare tensione, enne volte più di The Evil Within di Mikami, giusto per citare un titolo giocato (e qui discusso) di recente, ma pure al di sopra del celebratissimo, anche dal sottoscritto, P.T. di Kojima. Per quanto mi riguarda, Creative Assembly ha creato la summa del gioco survival. La sfida con la creatura è personale, intima, nonché assolutamente impari. La vulnerabilità del giocatore s’intuisce fin dai primi incontri con i pochi ostili sopravvissuti umani, ma diventa palese al primo contatto con lo Xenomorfo. È cacciatore spietato, letale, esperto, invulnerabile è sempre in ascolto. Mentre la protagonista, così come ogni altra presenza umana, è semplice carne da macello, fastidioso insetto da eliminare con la nonchalance di una instant kill. 


Lecito chiedersi se, con queste premesse, la difficoltà risulta bilanciata. Risposta secca: sì, assolutamente, quanto meno nei tre livelli intermedi tra i 5 resi disponibili dopo l’ultima patch. È un gioco duro, sicuramente. Qualcuno qui l’ha definito “il Demonio”, e forse lo è, ma certamente è anche onesto col giocatore, non usa mai trucchetti. Le regole sono chiare fin dal principio, prendere o lasciare. Ma una volta accettata la sfida, presa davvero con lo spirito giusto (è un survival, ricordiamolo), per quanto massacrante sarà difficile abbandonarla. È un duello a due talmente addictive, talmente... Ripley contro lo Xenomorfo, che è impossibile arrendersi. Dopo poche ore da preda, il giocatore vuole riscatto, costi quel che costi. Ne uscirà solo uno, e quel contorno di umani e androidi a complicare e allungare le cose potrebbe anche risultare superfluo. Ma pur se più banale è prevedibile, ben s’intreccia con la sfida principale, consentendo uno sviluppo narrativo diverso da quello cinematografico, almeno quanto basta per assumere una sua originalità senza allontanarsi troppo dalle regole che la licenza impone.

Cos’altro dire? Potrei entrare nei dettagli più meccanici dell’esperienza, potrei parlarvi dell’enormità della mappa di questa stazione spaziale di Sevastopol, o del backtracking presente ma piuttosto sopportabile e mitigato da un miglioramento progressivo degli strumenti, utili all’accesso di nuove aree e percorsi. Oppure ancora di come le doti ingegneristiche della protagonista si applichino al classico crafting per aggiunge strumenti di diversione e offesa utili e diversificati al punto da rendersi specializzati alla risoluzione di situazioni ben specifiche. Magari potrei pure spiegare meglio le premesse narrative, del perché della figlia di Ripley, della stazione orbitante e di come si intrecci con la storia originale. Ma non lo farò. A voi che ancora non l’avete giocato il piacere di scoprirlo.
Se avete amato il film, soprattutto quel primo episodio ad opera di Scott, Anno Domini 1979, questa è indubbiamente la miglior trasposizione digital-interattiva di sempre. Ed è il mio GOTY.
A tutto il team di The Creative Assembly: bravi, così si fa un gioco di Alien.
Bravi, bravissimi! Ancora! Bis!
Unknown
Scritto da Unknown

2 commenti:

  1. Viene sinceramente voglia di giocare ad Alien: Isolation leggendo il tuo articolo. Continuo a non essere sicuro se possa essere o meno l'esperienza videoludica adatta al mio palato. Per questo motivo giocherò prima ad Outlast su PS4, in modo da farmi un'idea del genere e capire se può essere un titolo che fa per me...

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  2. Mmm... Ho provato outlast, non a sufficienza per darne un giudizio completo ma di certo posso dire che il feeling è molto, molto diverso, nonostante alcune delle premesse di gameplay dei due titoli si assomiglino. Poi, potrebbe anche dipendere da quanto la pellicola di Scott ti sia piaciuta ;)

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