domenica 1 marzo 2015


A volte non riesco a capire se il diventare vecchio mi stia rendendo più acido o comprensivo. Ci sono quelle volte in cui mi sento come un vecchio rompipalle, un po’ come Abraham Simpson insomma. Quell'anziano scorbutico e ormai prossimo al rincoglionimento. Ultimamente però mi capita ancora più spesso di sentirmi come un appartenente ad una minoranza etnica. Un po’ tipo quelle donne afroamericane che fanno di no con l’indice e nel farlo ti fulminano con lo sguardo. Perlomeno in campo videoludico è così che mi sento. Troppo spesso mi capita di trovarmi in disaccordo con quello che piace o non piace alla massa critica. D'altronde ho sempre pensato che uniformarsi ti faccia sentire parte di una comunità, ma sia anche un affossamento della propria unicità. Insomma, niente Colmar, indossato dal 99.9% periodico (come direbbe erroneamente Adriano Galliani) dei giovani tra i 15 ed i 25 anni, e un’idea ben precisa in testa di quello che mi coinvolge, piace ed emoziona. Il problema è che ultimamente le mie convinzioni di capacità critica stanno venendo meno, perché mi capita spesso di farmi coinvolgere da titoli non amati dalle masse. E le recenti critiche che hanno coinvolto The Order 1886 ne sono la testimonianza.


Ovvio, non ho più tredici anni. Non ne ho nemmeno ventitré. E nemmeno trentatré. Come già detto altre volte su queste pagine, le primavere sono trentasei. I gusti cambiano. Quelli alimentari si dice che variano ogni sette anni, e infatti ora mangio tutte le verdure, i broccoli non mi fanno paura e affronto con spavalderia tutto ciò che l’adolescente solitamente non vorrebbe trovarsi sul piatto (le minestre, le verdure cotte, i pennuti o pesci di difficile identificazione). Se cambiano i gusti alimentari, perché non quelli videoludici? Tra l’altro, più che i gusti, cambia il tempo a disposizione per la fruizione dei videogiochi. Facendo un rapido conto, dedico a questo passatempo una media di una decina di ore alla settimana, quaranta ore al mese. Quindi se dovessi giocare unicamente a titoli come Dragon Age: Inquisition o simili, potrei finire nel corso di un anno non più di sei titoli. Tra l’altro credo che questo sia il numero di prodotti che in media un giocatore appassionato acquista in un anno. Nulla di strano insomma. Se avessi una sola console e se potessi permettermi (a livello economico e soprattutto di tempo) 5-6 titoli all'anno, probabilmente mi dedicherei solo a JRPG o GDR occidentali. Ma di console ne ho sette, di cui cinque attive e due “dormienti” (Xbox 360 e PlayStation 3) e non mi va certo di tenerle tutte e poi giocarci un titolo all'anno. Infine, sono curioso ed estremamente onnivoro, desideroso di ingurgitare più prodotti e poi parlarne e confrontarmi con amici e colleghi.


Questo lunghissimo preambolo era necessario per dire che troppo spesso si leggono giudizi su prodotti senza pensare che l’utente finale è estremamente variegato nell'età, nei gusti e nel tempo a disposizione. Siamo sicuri che un gioco lineare che dura otto ore e magari sbilanciato verso la componente narrativa sia necessariamente di scarso appeal per l’utente finale? In mezzo ai numerosi titoli che completo nel corso di un anno solare c’è un po’ di tutto, come evidenziato in una delle ultime puntate di Gaming Effect. C’è l’indie da godere tutto d’un fiato, c’è il gioco lineare, il free roaming da trenta ore e il gioco di ruolo da ottanta. Eppure c’è sempre più il desiderio di accantonare le esperienze totalizzanti per dedicare il mio tempo a titoli con meno pretese e che magari si completano in non più di dieci ore. Motivo per il quale ho apprezzato tantissimo Hotline Miami, Captain Toad: Treasure Tracker o Monument Valley. Ed è lo stesso motivo per il quale ho apprezzato moltissimo anche The Order 1886. Lungi da me entrare nella polemica anche un po’ sterile che si è scatenata nelle ultime settimane. Dico solamente che forse bisogna aprire un po’ di più le proprie vedute e capire che magari un titolo del genere sarà poco apprezzato da un diciottenne che ha molto tempo a disposizione e molti pochi soldi da spendere e magari preferisce indirizzare i propri risparmi su un gioco che rivenderà dopo qualche mese e con una maggiore interattività. Ma il trentaseienne che vuole godersi un’esperienza meno complessa, più concentrata nelle emozioni e che magari può permettersi di spendere settanta euro senza troppi pensieri perché non viene considerato? E il quarantenne con un figlio, la medesima passione del diciottenne ma il tempo disponibile ridotto all’osso? La sostanza del mio pensiero è insomma la seguente: la longevità è soggettiva, così come lo è quello che una persona può volere da un videogioco. Ben vengano i titoli da otto ore, se fatti bene ovviamente. E ben vengano i The Order 1886, così come il lunghissimo Dark Souls 2 ed il brevissimo Monument Valley. Così come i trentaseienni che ancora amano alla follia questo passatempo, ma che si ritrovano a poter impugnare il pad nei sempre meno numerosi ritagli di tempo.
Unknown
Scritto da Unknown

2 commenti:

  1. Articolo interessante e che condivido quasi in toto. Fra l'altro si lega parzialmente anche al mio post che ho pubblicato proprio ieri sera. Che dire... Credo anche io che ormai la stampa e buona parte dell'utenza internettiana sia ormai da tempo in preda alla sindrome delle seghe mentali. Ne scrivevo su queste stesse pagine proprio un anno fa. Si inneggia alla libertà di espressione, alla varietà, e poi si finisce per idolatrare di default determinate categorie di prodotti (basta dare un'occhiata su Metacritic per rendersi conto di come gli indie siano giudicati quasi sempre in maniera positiva), per poi dare addosso altrettanto per partito preso ai titoli dal budget più elevato. Boh... Per l'amor di Dio, ci sta che le aspettative siano diverse, però, ecco, spesso ci si dimentica che il pubblico è eterogeneo e che ci possono essere esigenze ed aspettative diverse.

    A mio avviso buona parte del problema risiede nella standardizzazione del prezzo dei videogiochi. Con i tempi che corrono, spendere 70 euro per un prodotto single player only che fatica ad offrire un'esperienza di gioco superiore alle 10 ore, beh, posso capire che possa fare girare le palle. Una maggiore diversificazione dei prezzi di vendita potrebbe aiutare in questo senso e magari evitare che determinati prodotti finiscano iper scontati dopo un paio di mesi dall'uscita sugli scaffali...

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  2. Ho qualche dubbio riguardo l'esattezza del conteggio delle tue ore dedicate al videoludere, IMHO moooolto conservativo (ma probabilmente Destiny fa categoria d'intrattenimento a parte :P). E pure riguardo au 6 titoli l'anno acquistati da un giocatore che si possa definire "appassionato"... ma non dispongo di dati statistici per argomentare propriamente.
    Scherzi a parte :) , il sunto del tuo discorso è un inno alla diversificazione dell'offerta, di cui io pure sono supporter totale. Che poi l'internet dei forum sollevi spesso sterili e polemici polveroni mediatici.. bè, probabilmente si tratta dell'idea di una limitata fetta di utenza, quella più orientata ai social network e, in percentuale, più giovane. Aizzati da abili "giornalisti" a caccia di click, non sempre virtuosi. Dall'altra parte ci sono tanti, tantissimi giocatori semplicemente non hanno né il tempo né la voglia di far caciara, che magari scrivono la loro su forum più di nicchia o sul proprio personalissimo quanto sconosciutissimo blog, o magari semplicemente giocano e chissenefrega del parere degli altri. In fin dei conti, i dati di vendita non sempre vanno a braccetto con i metascore, no?

    Ben venga la varietà quindi, ben venga il gioco iOS da pochi spicci ed il Blockbuster da 70 euro. Ma è la via di mezzo che, a mio avviso, in questo momento latita. Via di mezzo in termini di qualità e prezzo. Lacuna, a mio avviso, in parte colpa diretta di un'industria sempre più globale e spietata, dall'altra indiretto effetto delle azioni di poche aziende che hanno determinato una radicale modifica delle aspettative dei consumatori. Morte al freemium!!

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