Nella solitudine dello spazio profondo la sfida, psicologica, è con sé stessi.
Con i molti sé stessi.
Sì, sono ancora scottato dalla figura barbina rimediata nell’ultimo episodio del podcast di Gaming Effect, in cui, ripercorrendo il lungo elenco di titoli indie omaggiati da Microsoft e Sony nel corso del 2014, il mio contributo è stato sostanzialmente un alternarsi di “No, non l’ho giocato” e “Avrei voluto ma...”. Eppure a detta dei colleghi alcuni di essi sono più che meritevoli di attenzione. E il mio alibi del “poco tempo a disposizione” è miseramente crollato quando, stilando la mia Top Ten, ho realizzato di aver giocato e terminato un considerevole numero di titoli, ma di cui solo una piccola quantità di origine indipendente. Con l’avvento quindi del nuovo anno, eccomi qui a compilare il solito, breve elenco di buoni propositi. Sì c’è ancora lo “smettere di fumare”, stavolta ce la devo fare. E poi quello di diventare persona seria, a quarant’anni ormai dovrebbe essere uno stato di default ma… sorvoliamo. Comunque ho due punti anche in ambito videoludico: il primo quello di resistere alla tentazione New Nintendo 3DS con Majora’s Mask… e vabbè. Il secondo, che contro ogni realistica previsione sto già mettendo in atto, è quello di concedere più tempo alle produzioni “minori”, quanto meno quelle già incensate dalla critica di fiducia. Quindi, dopo aver goduto delle forti sensazioni retrò offerte da Shovel Knight, ho pensato di accettare l’offerta mensile dell’Instant Game Collection di Sony per dare un’occhiata a The Swapper, e ne sono rimasto catturato.
Sviluppato e prodotto dallo studio Finlandese Facepalm Games e rilasciato su PC nel lontano 2013, The Swapper ha raggiunto le piattaforme Sony (tutte, ed è pure in cross-buy… for free) grazie alla collaborazione con Curve Studios, ormai veri esperti di porting su console. In sostanza, il gioco è definibile come un twin stick puzzle platform bidimensionale ad ambientazione sci-fi. Chiaro no? Seppur basato su regole differenti, mi ha ricordato in qualche modo il pastelloso Braid di Jonathan Blow o ancor più il monocromatico Closure di EyeBrow Interactive: una combinazione dei due, riveduta ed innovata nel gameplay e nel setting, con un’atmosfera generale ed uno stile visivo, meglio dire audio-visivo, molto più vicini ai miei gusti, con i suoi ambienti da fantascienza à la Cuaron/Soderbergh ed un accompagnamento musicale che trasmette con gusto, delicatezza ed efficacia i temi di sopravvivenza, solitudine, di conflitto interiore e di disastro già compiuto.
Protagonista è un solitario cosmonauta vestito di tuta pressurizzata (volto e nome ignoti), ritrovatosi su di una stazione spaziale apparentemente, inspiegabilmente, abbandonata. Non è dotato di particolari capacità atletiche: certo può camminare, compiere semplici balzi, spostare piccoli blocchi o attivare interruttori, ma nulla più. Però al suo arrivo sulla stazione trova un semplice, potentissimo strumento: lo Swapper. Prodotto sfruttando tecnologia aliena (forse la stessa che ha fatto sparire l’intera popolazione della gigantesca struttura teatro dell’avventura), tale ipertecnologico utensile consente all’utilizzatore di proiettare (a mo’ di torcia) fino a quattro cloni di se stesso, perfette copie organiche, tanto fedeli da riprodurre all’istante ogni movenza del creatore. Questa la prima funzione. La seconda consiste nel trasferire la propria “anima”, quindi il controllo totale dell’azione e la capacità di usare lo Swapper stesso, ad un altro clone, tramite un raggio “beam”. That’s all. Le capacità del protagonista finiscono qui, e devono bastare a risolvere puzzle illumino-ambientali al fine di raccogliere sfere energetiche utili all’attivazione di terminali sblocca aree.
Puzzle che si basano su poche semplici, rigidissime regole:
- Si muore, azzerando ogni progresso nella “stanza” occupata, solo quando il clone principale, quello che trasporta l’”anima”, muore. Gli altri cloni sono sacrificabili a piacimento, solitamente schiantandoli al suolo, o ricongiungibili all’originale tramite contatto fisico, e per ogni replica viva in meno una nuova se ne può proiettare, sempre per un totale di 4 più l’originale in vita sullo schermo. E spostandosi da un'area all’altra i cloni svaniscono
- Lo Swapper produce un clone nel punto esatto in cui lo si può proiettare visivamente, a patto che tale punto nello spazio non sia illuminato da luce blu
- Il raggio beam, quello che trasferisce l’anima, non attraversa le luci rosse
- La gravità, mancante o artificiale
- Si muore, azzerando ogni progresso nella “stanza” occupata, solo quando il clone principale, quello che trasporta l’”anima”, muore. Gli altri cloni sono sacrificabili a piacimento, solitamente schiantandoli al suolo, o ricongiungibili all’originale tramite contatto fisico, e per ogni replica viva in meno una nuova se ne può proiettare, sempre per un totale di 4 più l’originale in vita sullo schermo. E spostandosi da un'area all’altra i cloni svaniscono
- Lo Swapper produce un clone nel punto esatto in cui lo si può proiettare visivamente, a patto che tale punto nello spazio non sia illuminato da luce blu
- Il raggio beam, quello che trasferisce l’anima, non attraversa le luci rosse
- La gravità, mancante o artificiale
È tutto. Lo Swapper non si potenzia, il personaggio non acquisisce nuove abilità. Tutto. Qui. Ma è stato pienamente sufficiente ai designer per creare una sessantina (o forse più) di puzzle unici, mai ripetitivi e sempre intriganti. La bontà del risultato è talmente evidente da sottintendere l’enorme, sapiente lavoro di studio dietro ad ogni livello.
Il gameplay è sempre ragionato, ben bilanciato nell’offrire una sfida in costante crescita. Il ritmo è rilassato, perfetto per darsi una tregua dalla frenesia quotidiana o d’altra natura videoludica. C’è del backtracking ma non è mai eccessivo, grazie alla presenza di portali per il teletrasporto all’interno della stazione. Ogni elemento ludico è sapientemente dosato e implementato in modo certosino, innestandosi in un contesto narrativo-psicologico molto... potente. C’è una sorta di “lore” costruito sui classici log testuali, ma la peculiarità qui è la bilateralità: da un lato, i messaggi lasciati nei terminali ricostruiscono ciò che è successo sulla stazione dal punto di vista dei malcapitati terrestri; dall’altro, tramite i pensieri di xeno-monoliti senzienti e attenti alle azioni del protagonista, ci si addentra nella natura aliena e in come essa si rapporti ai temi umani, in una forma di confronto psico-filosofico focalizzato sul concetto stesso di esistenza, sopravvivenza e fine. Idea che permea il gameplay stesso, dove duplicazione, transfer e sacrificio della di sé copia organica possono rappresentare la riproduzione come chiave della continuità della specie oltre la morte dell’individuo. Pure le brevi sessioni nel silenzio assoluto del vuoto cosmico, dove il beamer assume la funzione di propulsore e la perdita di un riferimento gravitazionale si fa visivamente concreta, seppur superflue alla pura meccanica ludica non rappresentando alcuna sfida concreta, amplificano la percezione ambientale, la consapevolezza del contesto orbitale, rendendo il concetto di spazio vuoto tangibile ed opprimente.
Sensazioni trasmesse tramite il gameplay appunto, ma anche con il semplice ma ottimo comparto visivo, con l’accompagnamento musicale ed i suoni ambientali. C’è qualità in ogni singolo componente, qualità che si riassume in emozioni, in pensieri durante e dopo ogni sessioni di gioco. Qualcuno, leggo, lamenta una certa brevità dell’avventura, parlando di non più di quattro ore per completarlo. Bè, senza l’uso di alcuna guida, io ne avrò impiegate quasi il doppio. Sarò lento io forse, ma il parametro quantità qui è irrilevante.
The Swapper è pregno di atmosfera, dimostra intelligenza, discute di morale. Per me, trattasi di una piccola, rara gemma. E se non sarà il mio titolo indie preferito di questo 2015 vorrà dire che sarà stato un anno straordinario in quello specifico contesto.
PS: Vi ricordo che al momento è gratis con PlayStation Plus, quindi che aspettate?
Attirato anch'io dalla natura gratuita del titolo, mi sono lanciato in una prima lunga sessione di gioco su PlayStation Vita. Tralasciando il fatto che sulla console portatile l'esperienza è un po' castrata dallo schermo (troppo piccolo a volte considerando la visuale utilizzata) e dai cali di frame rate, devo dire che per ora il gioco si sta rivelando claustrofobico al punto giusto, ma anche privo di quei guizzi che in passato mi portarono ad amare altri titoli indie, come Braid, Limbo o Mark of the Ninja. Vediamo com'è andando avanti, ma ti invito ad aspettare ad eleggerlo come indie preferito del 2015... C'è davvero tanta carne al fuoco quest'anno... personalmente, Rime, No Man's Sky, Everybody's Gone To The Rapture, The Vanishing of Ethan Carter, Ori and the Blind Forest e Inside sono quelli che seguo con maggiore attenzione.
RispondiEliminaNon l'ho provato su Vita, ma a pelle non credo sia la piattaforma ottimale per godere pienamente di questo titolo. E di fatto tu confermi... Per i guizzi... Personalmente ho trovato il gioco in toto un gran bel guizzo, per gameplay e per stile. E pur la tanto bistrattata, su vari forum, trama secondo me funziona molto bene. E di tocchi di classe ce n'è in ogni comparto... Ad esempio, hai notato la particolarità grafica degli elementi a schermo? Sono digitalizzazioni di modelli in plastilina... La resa è quanto meno peculiare. E i momenti a gravità zero? E i testi, quelli alieni... Non skippare, leggi attentamente. E alla fine... Scegli.
RispondiEliminaPer concludere, è vero le promesse per questo 2015 indie sono alte, ma ancora da concretizzarsi. Non ho già decretato il mio IGOTY, ma se quel che verrà sarà meglio di The Swapper, bé... Wow! Lo spero davvero!!