Premessa: l'articolo contiene diversi link a video che consentono di comprendere meglio la natura di alcune esperienze descritte.
Nell’aprile
del 2014, insieme alla redazione di Gaming
Effect, decidemmo di dedicare una puntata del podcast
al prepotente ritorno sulle scene della realtà virtuale. L’acquisizione di Oculus VR ad opera di Facebook e l’annuncio
del mirabolante Project
Morpheus da parte di Sony (a
proposito, che fine ha fatto?) costituirono conferma del ritrovato interesse
dell’industria hi-tech verso una forma di interazione che, dopo gli
avveniristici (e a tratti goffi) tentativi dei primi anni ’90, sembrava essere
finita nel più polveroso dei dimenticatoi. Così, complice anche la
disponibilità del primo
Development Kit di Oculus Rift, cogliemmo l’occasione per provare sul campo
le prime demo sviluppate per il visore ideato da Palmer Luckey.
Le mie
impressioni furono piuttosto contrastate. Certo, lo stupore complessivo fu
innegabile (nonostante, lo ricordo, si trattasse di un primissimo prototipo per
molti aspetti ancora acerbo - in primis per comodità di utilizzo e per una qualità
di visione viziata da una risoluzione decisamente troppo bassa). Tuttavia, ci
fu qualcosa che complessivamente non mi convinse appieno, se non altro dal
punto di vista prettamente videoludico. La sensazione fu quella di un prodotto
dalle enormi potenzialità pratiche, che però viravano più verso modalità di fruizione
distanti dal videogioco in quanto tale. Mi venne più naturale pensare a
potenziali utilizzi didattici (visite a musei, documentari interattivi, ecc.),
di turismo virtuale (esplorazione di luoghi del mondo che non si ha la
possibilità di visitare di persona), di pura e semplice comunicazione
(futuristiche videochat in cui si può essere virtualmente nello stesso luogo
dell’interlocutore), di (perché no?) nuove frontiere per l’erotismo.
Perché
questo scetticismo verso il videogioco? In parte sicuramente per il tipo di
prodotti disponibili (tra simulazioni
di montagne russe ed un giro in una villa in Toscana,
l’unico vero gioco fu una mod
di Mirror’s Edge…). In parte (soprattutto?) per il motion sickness, una costante
comune a tutti i prodotti testati (seppure, ovviamente, presente con intensità
variabile a seconda del titolo). Molti giurano che con la frequenza d’uso ci si
abitui. Fatto sta che ritenni l’ipotesi di indossare il primo DK di Oculus VR
per più di venti minuti consecutivi una pura
utopia (soprattutto per chi, come il sottoscritto, ha la sfortuna di soffrire
di difetti visivi e di non poter indossare le lenti a contatto).
Da quella
divertente serata sono trascorsi circa dieci mesi. Trecento giorni circa in cui
tante cose sono mutate ed evolute, è stato reso disponibile un kit di sviluppo
riveduto e corretto in molti dei suoi aspetti hardware e la community degli
sviluppatori ha continuato a sperimentare e a produrre. Così quando un paio di
settimane fa un caro amico (ciao Luis!) mi ha proposto di passarlo a trovare
per fare una sessione di testing 2.0, ho accettato con molto piacere e
curiosità.
Durante la
serata ho avuto modo di prendere confidenza con il Development
Kit 2 di Oculus Rift. Il nuovo prototipo rappresenta sicuramente un passo
in avanti sia in termini di ergonomia e comfort (il visore è più leggero e
comodo da indossare), che per ciò che concerne la resa visiva (la risoluzione per occhio
è passata dai miseri 640x800 del primo kit ai più soddisfacenti 960x1080,
contribuendo alla diminuzione del fastidioso effetto pixel). Anche la
precisione del visore è stata incrementata grazie all’aggiunta di 3 ulteriori
sensori per migliorare l’efficacia dell’head tracking. Tutti aspetti che,
comunque, verranno ultimamente migliorati e perfezionati in occasione del
lancio sul mercato della prima versione di Oculus Rift destinata al mercato
consumer (attualmente ancora priva di una release date ufficiale).
Quello che
tuttavia mi interessava maggiormente era constatare se dal punto di vista
ludico la situazione fosse o meno migliorata. Il primo test è andato
sicuramente in questa direzione, con la prova di Toybox Turbos di Codemasters.
Si tratta di un prodotto certamente non rivoluzionario per realizzazione tecnica
e gameplay (siamo di fronte né più né meno ad un nuovo capitolo della gloriosa
serie Micro Machines, questa volta senza il defunto marchio di Hasbro), ma che
nella sua modalità Oculus riesce a stupire e a creare una forte immersione del
giocatore nell’ambiente di gioco. La percezione (difficile da descrivere a
parole, come spesso accade quando si parla di VR) è quella di trovarsi realmente
di fronte ad una pista di mini automobili radiocomandate. Ci si sente quasi
come un gigante in mezzo ad un mondo in miniatura. Una sensazione davvero
piacevole e particolare, purtroppo non restituita con altrettanta efficacia da BlazeRush, titolo simile
per natura a Toybox Turbos provato immediatamente dopo.
A stupirmi
in positivo è stato anche ZVR
Apocalypse, breve demo di FPS apocalittico con classica epidemia zombie
dove i movimenti del personaggio avvengono via pad e la mira viene deputata ai
movimenti della testa. Sebbene la sua natura di progetto pseudo-amatoriale ed ancora
in fase embrionale sia evidente, il risultato finale è stato sorprendente.
Essere rincorsi da uno zombie, sentire i tipici rantoli poco rassicuranti aumentare
di intensità, girare la testa all’indietro e trovarsi quell'essere claudicante lì ad un passo con la
bocca aperta pronto a mordere è un’esperienza assolutamente terrificante e
d’impatto. Anche la modalità di mira si è rivelata più precisa del previsto.
Ecco, insieme ai giochi di guida, vedo proprio gli FPS (magari quelli meno
frenetici e più ragionati) come uno dei generi che meglio si potrebbe adattare
ad Oculus Rift.
La serata
è proseguita con Windlands,
progetto anch’esso in fase poco più che embrionale, che a regime dovrebbe
sbocciare in “un action-adventure sullo stile di ICO e Zelda” (parole degli sviluppatori). Per il momento
il tutto si traduce nell’esplorare una zona fantasy in parte rigogliosa e in
parte arida, ma comunque ricca di alberi, strutture ed alture che il
protagonista può raggiungere grazie ad un apposito rampino. Anche qui il
risultato è stato sicuramente buono.
Le prove
si sono concluse con un’esperienza poco ludica, ma molto intensa. In Sightline: The Chair il
giocatore rimane (come il titolo suggerisce) seduto su una sedia mentre il
mondo intorno a sé muta in continuazione. Oltre 10 minuti di follia e di
sorprese decisamente d’effetto.
Insomma, a
che conclusioni sono arrivato? Beh, è ancora troppo presto per dire che le
cose si sono evolute a tal punto da poter asserire che Oculus Rift è pronto per
cambiare per sempre il modo di videogiocare o per, comunque, costituirne una
variante credibile. Buona parte delle perplessità che espressi 10 mesi fa
rimangono, infatti, ancora in piedi, a cominciare dalla “fatica” di utilizzo rappresentata da
un’ergonomia che nonostante i sensibili miglioramenti necessita ancora di passi
in avanti da gigante e da una qualità visiva ancora non pienamente soddisfacente. Il motion sickness, inoltre, è sempre lì in agguato, pronto a rendere
difficoltosa una fruizione prolungata del dispositivo. Anche la natura di
progetti non commerciali dei prodotti disponibili (non potrebbe essere
altrimenti, visto l’esiguo numero di visori distribuiti in questa fase
pre-commerciale) non aiuta di certo a scacciare la percezione di “gita al parco
giochi di una mezz’ora”. È come se al momento Oculus Rift rappresentasse
qualcosa da provare più per divertimento, magari per lasciare stupefatti gli
amici, ma non ancora maturo a tal
punto da rappresentare con credibilità quella rivoluzione che attendiamo ormai
da oltre vent’anni.
Lo potrà
diventare in futuro? Difficile dirlo allo stato attuale, ma considerando gli
sforzi che si stanno compiendo nello sviluppare il prodotto a livello hardware
e l’ingente quantità di denaro investita da Facebook le speranze sono più che buone.
Già rispetto a dieci mesi fa qualche deciso passo avanti è stato fatto. Perché
dubitare che le cose possano proseguire per il verso giusto?
Articolo molto interessante, direi che i miei dubbi permangono. Torno a casa da lavoro già adesso con gli occhi crepati... ed è normale perché passo 8 o più ore davanti al PC. Pensare di indossare degli occhiali/visori stressanti per gli occhi più di un normalissimo schermo LCD/LED, in questo momento è una prospettiva che trovo tutto fuorché allettante... Magari in futuro mi ricrederò, ma lo vedo come un prodotto che quando arriverà a maturazione forse sarò già un po' troppo vecchio per utilizzarlo...
RispondiEliminaSi mettersi in faccia uno schermo a due cm dagl'occhi non è esattamente l'idea di relax dopo il lavoro.
RispondiEliminaIl visore di per se non stanca più di tanto, ma non è ancora sufficientemente comodo.
Personalmente ne faccio un uso molto limitato, ma comunque piuttosto costante. Quelle 3-4 ore a settimana (qualche volta di più in base al contenuto) ce le spendo sempre e sono sempre di grande intrattenimento.
Come ha scritto Gianluca però, i contenuti di qualità sono pochissimi, ma il potenziale è enorme quando si provano giochi "veri" adattati dalle software house.
Uno di questo ad esempio è Trackmania (che purtroppo Gianluca non ha ancora avuto modo di provare) che è l'esempio lampante di cosa si potrebbe fare se ci fossero investimenti.
Purtroppo il 95% dei contenuti oggi sono poco più di demo fatte da spesso una sola persona che gioca col Devkit ed il non strabiliante SDK per Unity3D.
La maturazione dell'hardware non è lontanissima secondo me, ma vedo complicatissimo rendere l'oggetto appetibile da una larga utenza senza che esca già con delle killerapp di altissima qualità. E se non venderà abbastanza, difficilmente ci saranno investimenti lato software.
C'è da dire che si vocifera che alla prossima GDC, Steam dovrebbe presentare la sua proposta VR (non è chiaro se con nuovo hardware oppure tramite Rift) nella quale pare abbia investito non poco.
Che sia di nuovo compito di Steam, dopo averlo fatto col digital delivery, fare da traino per qualcosa che ancora incontra diffidenza?