sabato 27 dicembre 2014
Il migliore anno della nostra vita


Non sono un sorcino, state tranquilli. Però mi è partita in loop una famosa canzone di Renato Zero non appena ho dato uno sguardo alla lista dei titoli previsti in uscita nel 2015. A pensarci sento quasi scorrere un brivido lungo la schiena, perché corro il rischio di chiudermi in casa a fare le nottate nella speranza di poter stare dietro a tutti i videogiochi che ritengo degni di attenzione e da inserire insindacabilmente all’interno del mio sempre più inquietante backlog. Sono anche mediamente rassegnato a sguardi di compassione da parte della mia dolce metà, ormai vaccinata alla mia passione da disagiato, ma probabilmente non pronta ad assorbire l’arrivo di un numero così corposo di nuovi titoli da smaltire.
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mercoledì 24 dicembre 2014
Gaming Effect - Episodio 38


Anche il podcast Gaming Effect festeggia i venti anni di PlayStation!

Durante l'episodio numero 38 la redazione (la stessa di PlayOffLine) ripercorre le tappe più importanti dello storico brand di Sony, dal lancio della prima, celebre PlayStation fino al successo di PS4.

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martedì 23 dicembre 2014
PEGI, questo sconosciuto….



Ci risiamo. Dalla stampa generalista, questa volta nostrana, arriva l’ennesima ondata di @@@.. ok diciamo moralizzante contro la violenza nei videogiochi. Per fortuna questa volta non c’è stato alcun fatto di cronaca nera a scatenare il dibattito, ma la semplice esperienza di un genitore “poco informato”, per utilizzare un eufemismo, alle prese con l’acquisto di un regalo per il figlio undicenne. Entriamo nel dettaglio.

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lunedì 22 dicembre 2014
2014: Back to the past?


Fine dell’anno. Tempo di guardarsi indietro e di tracciare un bilancio di quest’anno videoludico. Personalmente lo definirei buono. Laddove il 2013 aveva per forza di cose rappresentato un anno di transizione, dove l’attesa per PlayStation 4 ed Xbox One era stata in buona parte disillusa da line-up ancora povere e non all’altezza del nuovo hardware, il 2014 ha visto finalmente completarsi il passaggio di testimone tra la old e la next-gen, con una buona quantità di titoli nei negozi (anche virtuali) e con sviluppatori sempre più a loro agio con le nuove macchine. Insomma, se si pensa che anche dal lato vendite la situazione è al di là delle più rosee aspettative (è probabile che PS4 e One possano chiudere l’anno con vendite combinate per circa 27.000.000 di unità!) e che i titoli annunciati per il 2015 sono parecchi e promettenti, direi che si può guardare al futuro con serenità, alla faccia di quanti predicavano la fine del “videogioco tradizionale” in virtù delle nuove tendenze affermatesi negli ultimi anni: il mobile gaming su smartphone e tablet ed il motion control.
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giovedì 11 dicembre 2014
Soli e impotenti, che goduria! - Alien: Isolation

 

Alien: Isolation è il mio GOTY. Punto. Boom.
Ne ho giocati di titoli molto buoni quest’anno, su tutte le piattaforme. Dal piacevolissimo Super Mario 3D World per WiiU a The Last of Us Remastered, passando per diversi ottimi giochi tripla A (o quantomeno “doppia”), tra cui action, adventure, sportivi e pure alcuni simulatori (chi più chi meno) di guida. E non mi sono fatto mancare nemmeno certe eccellenti produzioni indie o pseudo-tali. Ma Alien, Alien: Isolation, è il mio Game Of The Year.

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mercoledì 10 dicembre 2014
Popolo del day-one: ribelliamoci!


Nonostante il mercato videoludico sia ormai in grado di coinvolgere una platea di potenziali acquirenti sempre più ampia e variegata, è sufficiente analizzare con attenzione qualsiasi dato di vendita (tralasciando i titoli Nintendo) per avere conferma di come esso sia ancora legato a doppio filo ai videogiocatori più appassionati. Il maggior numero di copie vendute (e, di conseguenza, la fetta più consistente di ricavi) viene infatti ottenuto nelle primissime settimane del ciclo di vita del prodotto, a testimonianza di come siano ancora gli utenti più documentati e smaliziati a foraggiare, spesso con tanto di pre-order piazzati mesi prima, le casse di retailer e publisher. Un po' forzatamente, si potrebbe dire che il popolo del day-one è ancora forte, agguerrito e, soprattutto, possidente (in barba alla recente sindrome da discount di cui ho già avuto modo di parlare su queste pagine).
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domenica 7 dicembre 2014
L’importanza dell’audio surround


Quando si parla di arti visive generalmente si pensa alle immagini, a ciò che si vuole rappresentare sotto forma di opera da osservare, dando per scontato che la vista sia il senso maggiormente coinvolto.
Nell’ambito del cinema e dei videogiochi, però, l’audio ricopre un ruolo altrettanto importante, andando ad integrare l’opera e fornendo elementi senza dei quali ciò che si sta osservando risulterebbe incompleto.
Valutando questo aspetto da un punto di vista prettamente commerciale, il mondo del cinema è evoluto molto per quanto riguarda l’audio, inteso sia come colonna sonora che come dialoghi, al punto che gli appassionati sono ormai attenti tanto alla qualità visiva di un film quanto al suo sonoro.
Quando si pensa ad un videogioco, invece, il primo aspetto che viene in mente è la grafica, con il gameplay a rappresentare il secondo elemento da valutare, relegando quindi l’audio all’ultimo posto.

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giovedì 4 dicembre 2014
Il primo amore non si scorda mai


Parlo di un amore nato 20 anni fa. Un amore adolescenziale, quasi brufoloso, ma allo stesso tempo un amore passionale e travolgente, di quelli che non dormi la notte e ti ronzano nella testa di continuo. Avevo 17 anni, con tanta esperienza di videogiochi alle spalle, tra NES, Commodore 64 e Amiga 500, ma l’acquisto della prima PlayStation ha avuto il sapore della prima volta. In realtà non la acquistai il 3 dicembre 1994, giorno della sua uscita giapponese, ma due anni (e due stagioni natalizie) dopo, verso la fine del 1996. Il primo titolo di cui mi innamorai fu il primo Resident Evil, tanto realistico quanto spaventoso, con quella villa che metteva i brividi ed i cani che mi facevano costantemente saltare sul divano dallo spavento.

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lunedì 1 dicembre 2014
Second Life


No, non quel Second Life. Non quello perché non mi ha mai attratto, nemmeno lontanamente. Second Life inteso come seconda vita, perché le esperienze MMO un po’ lo sono. Ancora mi ricordo i mesi passati su Final Fantasy XI su Xbox 360, le nottate insonni e soprattutto le amicizie nate nella Linkshell (l’equivalente di un clan), le settimane passate nei tentativi di prendere una coffer key o nel farmare i Silk Thread dai Crawler. Seconda vita perché l’approccio ad una esperienza MMO è tutt’altro che semplice e spesso ai limiti dell’alienante. D’altronde l’unico modo per viverne appieno l’essenza è necessario giocarci per numerose ore alla settimana e soprattutto coordinarsi con amici o conoscenti per poter completare tutte quelle attività che abbisognano di un buon numero di persone per essere portate a termine. Destiny, seppur più accessibile e con un minor numero di contenuti rispetto ad un MMO classico, trae forte ispirazione dai capisaldi del genere, mettendo a disposizione del giocatore attività giornaliere, settimanali, farming e raid, qui chiamati “incursioni”. Quindi è d’obbligo prendere in mano il calendario, cercare di far spazio nell’agenda e trovare dei giorni (se non tutta la settimana) per dedicarsi a quanto il gioco è capace di offrire al di sopra del substrato fatto di nemici a cui sparare.

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mercoledì 26 novembre 2014
Open-world old-style next-gen



Pensando all’argomento del mio prossimo post da scrivere sulle pagine di PlayOffLine, tra le varie opzioni che si sono aperte nella mia mente, a farsi largo con più veemenza è stata quella di scrivere di Sunset Overdrive. Il titolo sviluppato da Insomniac Games sta infatti riuscendo a divertirmi e a darmi il piacere di videogiocare come pochi titoli hanno saputo fare ultimamente. Affare fatto, mi sono detto. Se non che ho realizzato che, così facendo, avrei rimarcato ulteriormente il leit motiv che ha legato la maggior parte dei miei recenti scritti sul qui presente blog: negli ultimi mesi ho infatti spesso disquisito con piacere di molti dei cosiddetti “open world”, dal troppo esaltato inFAMOUS, all'eccessivamente criticato Watch_Dogs, passando persino per le vecchie ed impolverate mulattiere di Red Dead Redemption, fino ad arrivare alla conclusione (sviscerata in apposito scritto) di come per me, in questo momento, il godimento videoludico derivi in buona parte dalla possibilità di esplorare ambientazioni virtuali particolarmente ampie e ben caratterizzate. Ma se da un lato sarebbe facile dedurre come anche il mio gradimento verso Sunset Overdrive derivi in gran parte dalla cura nella realizzazione di Sunset City, dall’altro ridurre la qualità del titolo Insomniac a solo questo aspetto sarebbe ingiusto nei confronti del prodotto in generale.
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martedì 25 novembre 2014
The Evil Within (me)



Sono giocatore di vecchia data, passato dagli arcade degli anni ’80 fino ai giorni nostri attraverso tutte le generazioni di console, PC e quant’altro servisse a giocare il meglio dell’offerta globale. E sono sempre stato restio ad abbandonare un titolo iniziato e giocato per oltre due ore (escludendo quel remoto periodo della pirateria facile... lo ammetto e mi cospargo di cenere). Da sempre, fin dalla loro nascita, sono stato amante dei survival horror (a proposito, chi mi vende un Resident Evil 1 prima edizione – non Platinum - per PSX ? :) ) e mai riluttante ai giochi che offrissero un minimo di sfida. Per dirne un paio, finivo Black Tiger in sala con un solo gettone senza trucchetti di sorta, e quest’estate mi sollazzavo a trestellare completamente Super Mario 3D World. Non è difficile dite? Provate a completare gli ultimi 3 livelli dell’ultimo mondo bonus e mi direte. E comunque sto facendo lo stesso con DKC Tropical Freeze, quindi posso a ragion veduta considerarmi un giocatore che gode della sfida. Non quella del gioco competitivo online, quella non fa per me, sportivi a parte. Ma la sfida così come pensata, implementata, raffinata dai creatori del gioco per la campagna in solitaria, quella sì mi avvince. Questa la premessa per parlarvi dell’unico gioco che negli ultimi anni è stato in grado (e non è un complimento) di far vacillare i miei credo, soprattutto quello relativo all’abbandono di quanto iniziato e inizialmente piaciuto. Dicevo di essere amante dei survival horror in genere, ma soprattutto di quelli dell’epoca PSX/PS2 coi vari capitoli di Resident Evil e Silent Hill: grandi atmosfere, scontri da evitare quanto più possibile, munizioni col contagocce. Quindi, dopo aver sbrodolato su quel riuscitissimo esperimento di marketing virale chiamato P.T., potevo esimermi dal giocare l’ultima opera di Shinji Mikami nello splendore delle console next-gen? Certo che no! Ma che fatica gente! Vi spiego…


The Evil Within è un bel gioco. È davvero un degno successore di Resident Evil (soprattuto del quarto capitolo). È ricco di atmosfera, artisticamente è pregno di stile, e fa pure la sua porca figura su PS4, a patto di accettare le bande nere applicate, ufficialmente, per dare un formato più cinematografico, ma in realtà utili a ridurre il carico computazionale e ad aiutare un frame-rate solo discreto. Ma va bene così, non siamo né al Nurburgring né in un arena di space marines dotati di jet pack. Qui la missione è sopravvivenza, non carneficina, stealth e fuga ogni volta che si può e scontri al minimo, quanto più ragionati siano possibili, a preservare le poche munizioni, la cagionevole salute e l’ancor più precaria forma fisica (intesa come durata dello sprint). Anche perché dal punto di vista dinamico il protagonista, la visuale e una certa legnosità della telecamera non sempre sono adatti ad affrontare le situazioni proposte, soprattutto nei contesti più intimi e ravvicinati. Ma si tratta di survival horror, è Mikami, ed è bellissimo nonostante sia il 2014. Dico davvero. Anche se (un altro) la trama si sviluppa in maniera troppo criptica e allucinata, ma è il survival horror Jappo, e ci sta. E anche se (l’ultimo), alla prima run e senza una pianificazione coadiuvata da una buon walkthrough il gioco costringe ad una fruizione al livello di difficoltà più basso (dei due inizialmente disponibili, settando come default quello superiore), e lo fa subdolamente, senza giocare ad armi pari con l’utilizzatore me medesimo. Questa cosa, però (e non c’è survival horror o Mikami che tenga), mi fa proprio inca@@are. Perché un conto è costringermi a razionare munizioni e upgrade, a studiare ogni centimetro dell’ambiente per trovare soluzioni alternative e rifornimenti, a farmi ripetere sezioni di gioco più volte perché l’approccio o l’esecuzione è stata sbagliata, accettando pure qualche “Continue?” dovuto alla legnosità dei controlli. Ma un altro (conto) è predisporre picchi di difficoltà disonesti, dove il boss di turno non offre alcuna indicazione sull’efficacia dei miei attacchi e, di contro, dispensa instant kill come se non ci fosse un domani, e soprattutto come se il protagonista fosse munito di quel già citato jetpack o di chissà quali capacità evasive. Certo a furia di dai e dai ce la si può pure fare a superarne uno, ma quando poi ne capitano due a distanza ravvicinata senza nel mentre offrire adeguati rifornimenti, la cosa si fa esasperante.

Nel mio caso ciò è avvenuto alla fine del decimo capitolo (di quindici): tre sessioni di gioco per un totale di quasi sei ore a provare e riprovare il medesimo scontro, imprecando come se conoscessi tutte le religioni del mondo e consumando etti di tabacco ad effetto terapeutico. Alla fine ho ceduto, menù opzioni e difficoltà abbassata (poi chiaramente non più innalzabile) e forzata ripetizione dell’intero capitolo. Non che le cose siano poi cambiate chissà quanto, ma per lo meno ho potuto notare una certa generosità nel dispensare scorte e, credo, una limitata resistenza dei nemici/boss, utile al superamento di quel maledetto capitolo dopo solo un paio di nuovi tentativi. Poi, da lì in avanti, nessun’altra vetta di sclero, e devo dire di aver portato a termine il gioco con una certa compiaciuta soddisfazione.


Però ora vorrei che il signor Mikami ed il suo team mi spiegassero che diavolo è successo durante lo sviluppo di quella stramaledetta sezione di gioco. È stata una scelta consapevole? Davvero? Perché allora ai recensori destinatari delle copie review è stato suggerito di giocare a livello “easy”, mentre il gioco propone di default il livello superiore? Sa tanto di grossolana pezza dell’ultimo minuto, a cui però sarebbe dovuta susseguire una vera e propria correzione software. Ma non è capitato, non ancora almeno. E quindi forse davvero è stato fatto di proposito… oppure sono io ad aver perso capacità videoludiche nel corso degli anni? Beh, mi sarò letto forse una decina di review e nessuna evidenzia lo stesso problema, tranne una, pure piuttosto autorevole e credibile, e che, guarda caso, punta il dito proprio sullo stesso passaggio qui criticato. Che sia l’unico recensore, tra quelli di cui ho letto l’articolo, ad aver ignorato l’esplicito consiglio di Bathesda? Chi lo sa, gli altri nove non hanno specificato… 


Per quanto riguarda la mia personale esperienza, ritengo che lo sviluppatore abbia deliberatamente ignorato il valore del mio tempo, sottoponendomi una sfida eccessivamente impari. Ed è un gran peccato, perché The Evil Within resta opera di buona fattura che certo non spegne il mio desiderio per un nuovo capitolo. Però, caro Shinji, ricorda: “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”. E non mi importa che tu includa “Evil” nel titolo di ogni tuo gioco. Non ti giustifica, ok?
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martedì 28 ottobre 2014
Sarà possibile retrogiocare nel futuro?


Internet, connettività 24x7, il cloud e tutto quello che vi ruota intorno è da tempo parte integrante della nostra quotidianità. Social, mail, WhatsApp, streaming video e musicale, gioco online, digital download. Tutto è sempre meno fisico e sempre più digitale, binario e virtuale. Progressivamente spariscono le cartoline delle vacanze, le foto da catalogare in album pesanti e polverosi, i dischi e i film sulla libreria. Anzi, in molti casi l’oggetto fisico è sparito già da tempo, al netto di poche eccezioni demodé. Certo ci sono tanti vantaggi per i consumatori: accessibilità a cataloghi infiniti, sempre ed ovunque, prezzi ridotti (almeno in molti contesti tra cui comunicazione e musica, ma non in tutti chiaramente, non ancora o non sensibilmente), tutto o quasi immediatamente disponibile.  Bello vero?
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mercoledì 15 ottobre 2014
Fine dei giochi, tutti a casa


Il titolo è fuorviante. State tranquilli, non voglio parlarvi della fine del settore videoludico. Non sono Michael Pachter ne tantomeno il Divino Otelma. Non ho quindi alcuna pretesa divinatoria, il mio unico intento in questo articolo è quello di parlare del tanto vituperato concetto di Game Over. In un modo o nell’altro, tutti i videogiochi si poggiano su questo banale quanto importante concetto. La sfida è proprio garantita dalla necessità di non dover ricominciare dall’inizio un livello o dal non dover ripartire da un checkpoint a volte lontanissimo, causa di molteplici frustrazioni se la medesima sezione viene ripetuta più e più volte. Tutti i videogiochi, salvo poche rare eccezioni, vivono di game over e del perfetto bilanciamento nell’evitare che si verifichi troppo frequentemente o troppo di rado. Però, pensandoci bene, è un aspetto che nasce e muore con i videogiochi, praticamente mai esplorato in altri settori, vuoi perché difficile da portare in ambito letterario o cinematografico, vuoi perché presuppone una partecipazione attiva da parte dell’utente finale.


Questo perlomeno fino a qualche giorno fa, quando ho scoperto (e visto) Edge of Tomorrow, con la premiata ditta Tom Cruise – Emily Blunt. In modo particolare il film si poggia sull’ormai non più giovane Tom ed il suo carico di ego e Scientology, protagonista di questa pellicola fantascientifica basata sulla light novel giapponese “All You Need is Kill”, scritta da Hiroshi Sakurazaka. La trama del film diretto da Doug Liman è molto semplice: gli extraterrestri hanno invaso la Terra e sembrano destinati a soccombere sotto i colpi dell’esercito umano, capace di tenere testa alle creature aliene grazie all’utilizzo di esoscheletri in grado di aumentare le capacità fisiche e le bocche da fuoco a disposizione di ogni singolo soldato. E fin qui tutto semplice. Tom Cruise veste i panni del maggiore Cage, più uomo-figurina che vero militare, inviato però in battaglia (controvoglia) ed in prima linea in quella che dovrebbe (?) rappresentare il colpo finale alle forze aliene. Senza svelare molto altro, Tom Cruise muore dopo 15 minuti di film. E riparte da un checkpoint, nel senso che si risveglia 24 ore prima e ricomincia da zero. E muore ancora. E ancora. Muore ma impara dai propri errori, come nei videogiochi. Capisce quali sono i pattern d’attacco dei nemici, si ricorda se sbucano fuori dal terreno o da dietro una roccia e migliora costantemente le proprie abilità in battaglia. Senza svelare altro (quanto scritto poco sopra si vede nei trailer, così come i promotional poster riportano la tagline “Live, Die, Repeat”), Edge of Tomorrow mi sembra la migliore trasposizione del Game Over applicato al cinema. Ne cattura appieno lo spirito ed è quanto di più vicino per concetto ad un qualsiasi videogioco d’azione o sparatutto.


Certo, non è un capolavoro di sceneggiatura e le interpretazioni sono adeguate a quello che vuole offrire il film, cioè due ore di sano divertimento. E ci riesce appieno, portando su schermo un ritmo estremamente serrato e scene a volte quasi comiche, soprattutto nei buffi tentativi del maggiore Cage di arrivare al checkpoint successivo. Allo stesso modo, in qualsiasi videogioco il giocatore si affanna e ce la mette tutta per arrivare al checkpoint, livello, mondo o puzzle successivo. Mi chiedo se il videogioco possa vivere senza Game Over e non ho una risposta precisa, sebbene ci siano vari esempi di titoli che cercano di smarcarsi da questo concetto una volta ritenuto basilare (To The Moon, i giochi di David Cage etc.). Ma siamo sicuri di volere dei giochi senza game over? La mia risposta è un sonoro quanto deciso, no. 
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lunedì 13 ottobre 2014
Touring Club videoludico



Di recente mi sono trovato molto spesso a chiedermi il motivo per cui arrivato alla veneranda età di 36 anni il videogioco continua a rivestire un'importanza così grande nella mia vita. Come frequentemente accade di fronte ai numerosi dilemmi più o meno futili che il mio cervello bacato si auto-pone, non sono riuscito a darmi una risposta pienamente soddisfacente. In realtà "mi piace e basta" sarebbe già di per sé motivo più che sufficiente per troncare sul nascere la questione. Tuttavia, in una delle numerose notti insonni che funestano questo periodo poco tranquillo della mia esistenza, la riflessione è stata oggetto di ulteriore approfondimento, soffermandosi in maniera più specifica sul mio particolare gradimento verso i titoli con un'ambientazione virtuale particolarmente riuscita. Così mi si è accesa la lampadina e sono giunto ad una conclusione tanto banale quanto la domanda stessa: amo i videogiochi per l'immedesimazione che riescono a darmi rispetto ad altre forme di intrattenimento meno "interattive" come cinema e libri. Perché, insomma, mi fanno "vivere" e non "subire" una storia, un'avventura e, soprattutto, perché mi rendono partecipe di un viaggio verso luoghi fantastici.

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giovedì 9 ottobre 2014
La nuova Vita di PS Vita

Nonostante sia ormai grandicello (le primavere sono quasi 36) riesco ancora a stupirmi per molte cose. Mi stupisce vedere Miguel Serse a X-Factor che canta “ho il mercedes”, mi stupisce che qualcuno abbia creduto che Red Bull mettesse davvero le ali, così come mi stupisce il mio rinnovato interesse verso PS Vita. Incredibile ma vero, squilli di trombe, fanfare e vuvuzela… la mia PS Vita non sta prendendo polvere sulla mensola, non è finita come usato da Gamestop e soprattutto non è spenta dal lontano 22 febbraio 2012, data di uscita della console in Europa. Oltre a stupire me, potrei aver stupito più di un lettore per questa mia balzana affermazione. PS Vita è infatti viva e vegeta, mi sta regalando più di una gioia e soprattutto ha capito qual è la sua dimensione all’interno dell’attuale mondo dei videogiochi. PSP ha avuto gli stessi identici problemi e, fatta eccezione per il Giappone, è stata un gran bel fallimento in tutto il resto del mondo. La stessa cosa vale per PS Vita ed il motivo è perché… mancano i giochi. Ma ne siamo così sicuri? Oppure dovremmo dire che “mancano i giochi a scaffale?”. A mio avviso la realtà nuda e cruda è semplicemente questa: un acquirente di PS Vita trova poco o nulla sugli scaffali dei GameStop di turno. Ma nel 2014 ha ancora senso recarsi in negozio per acquistare un videogioco per console portatile? Gli utenti Nintendo staranno strabuzzando gli occhi e diranno che, sì, ovvio che ha senso. Ecco, per me non ne ha.


Ormai da anni siamo tutti entrati nell’era dello smartphone, dove basta un click nello store per scaricare un’App, sia essa gratuita oppure a pagamento. Sony non sta facendo altro che replicare almeno in parte la strategia dei vari produttori di smartphone (e di relativi OS), cioè sta mettendo sul mercato il 90% del catalogo in formato digitale. Certo, alcuni titoli escono ancora nella doppia versione digitale/fisica, ma ormai la maggior parte dei titoli, anche quelli interessanti, esce unicamente in versione scaricabile. Oltretutto, sono sempre di più i casi di giochi cross-buy, cioè acquistabili su PS3 o PS4 e scaricabili gratuitamente per PS Vita. Emblematico è il caso di Hotline Miami, titolo che ho finito nella sua versione portatile, ma giocabile anche sulle due console casalinghe. Inoltre i salvataggi sul Cloud permettevano di cominciare una partita su PS Vita e di continuarla poi a casa su PS3 o PS4, per poi magari riprenderla in viaggio il giorno successivo, di nuovo su PS Vita. Sono proprio queste le possibilità che mi aspetto da una console portatile: non solo l’esperienza portable, ma anche il cross-buy e la possibilità di usufruire dello stesso software su più piattaforme, in modo da ottimizzare i tempi e godermi il gioco anche quando lontano da casa.


Tornando alla questione giochi disponibili, siamo così sicuri che il catalogo di PS Vita sia scarno? Forse scarno dei cosiddetti tripla A, ma i nuovi titoli resi disponibili ogni mese non sono poi così pochi e sono adattissimi alla fruibilità portatile. Inoltre tra PS Plus, sconti, saldi e offerte, si riesce a giocare non dico a costo zero, ma quasi. Negli ultimi mesi il mio unico esborso di denaro è avvenuto per l’acquisto di Hotline Miami e Murasaki Baby, tutto il resto mi è stato gentilmente offerto gratuitamente attraverso PS Plus. Certo, tra i giochi disponibili c’è più di un titolo che fa storcere il naso (Metrico e TxK non mi sono piaciuti per nulla), ma anche solo nell’ultimo paio di mesi sono usciti i vari Fez, Joe Danger, PlayStation All-Star Battle Royale, Pixeljunk Shooter Ultimate e Velocity 2X, tutti rigorosamente gratuiti e tutti sicuramente godibili.

Qual è quindi il futuro di PS Vita? Il futuro a mio avviso è già il presente, fatto di titoli indipendenti, alcuni giochi minori convertiti da smartphone, cross buy PS4-PS Vita e remote play, altro punto non toccato in questo articolo ma sicuramente interessante per tutti coloro che hanno acquistato la console. Per alcuni non sarà sufficiente, ma dal mio personalissimo punto di vista è ben più di quanto mi potessi inizialmente aspettare da questa tanto bistrattata console. 
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lunedì 6 ottobre 2014
Ed io che pensavo che Twin Peaks fosse strano.. - D4


Se vi chiedessi, a freddo, cos'hanno in comune David Lynch e Hidetaka Suehiro probabilmente rimarreste spiazzati. Ma se vi dicessi che il secondo è noto in ambito videoludico come Swery? Vi ricorda qualcosa? Forse... E se citassi Deadly Premonition? Ahhhh!! Ora ve lo ricordate vero? Sueshiro-san è proprio l'autore di quell'assurda miscela a forti tinte kitsch tra avventura poliziesca e survival horror, con formula sandbox, pubblicato su varie piattaforme quattro-cinque anni fa, dividendo la critica a tal punto che, a mio avviso, se n'è sicuramente parlato molto più di quanto non lo si sia giocato. Perché se da un lato mostrava un comparto tecnico sicuramente sotto gli standard dei tempi, dall'altro dimostrava un carattere tutto suo nel suo modo di essere assurdo, soprattutto nelle atmosfere, quasi del tutto inedite per un contesto ludico ma fortemente ispirate al Twin Peaks di David Lynch, serie tv cult degli anni '80 che sicuramente non ha bisogno di presentazioni.
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giovedì 25 settembre 2014
Il paradiso degli oggetti perduti


Dove finiscono gli oggetti che non usiamo più? Me lo domando soprattutto per gli oggetti che perdiamo di vista. Quelli per cui possiamo perdere interesse. Quelli di poco valore. Dove finiscono per esempio le matite? Non mi ricordo di aver mai temperato fino alla fine una matita in vita mia. Non ho mai buttato via una matita perché era finita. Eppure nella mia vita ne ho comprate tantissime. Misteriosamente capita. Capita il giorno in cui ti serve quell’oggetto che ricordavi di avere, ma che poi hai perso di vista ed è sparito. E’ un fenomeno accettato, che lì per lì pare normale. Come se niente fosse, senza pormi troppe domande capita il giorno in cui mi compro una matita nuova. Chissà se dal paradiso degli oggetti perduti un giorno tornerà a trovarmi la mia matita della terza elementare. Era una matita brutta per gli standard moderni. Vecchio stile. Un po’ austera. Eppure amica, con i tratti caratteristici che riconoscerei. Il segno di qualche morso che le avevo dato, e di cui ricordo ancora la sensazione tenace ma anche cedevole sotto i denti. La gomma consumata in modo irregolare e rotta da una parte. Scrivere con quella matita probabilmente mi darebbe una sensazione forte. Una congiunzione tra il me bambino e me adulto. Potrei ritrovarmi travolto in un vortice di deja-vu, ricordi confusi, sensazioni. Mi immagino la scena: dentro di me sono travolto da un viaggio emozionale bellissimo e inspiegabile. Da fuori sono un vecchio che scrive con una matita vecchia. Un miserabile con un sorriso sulle labbra.

Pochi giorni fa mi sono trovato proprio in questa situazione: dal paradiso degli oggetti perduti è venuto a trovarmi un vecchio gioco. Vecchio per davvero. Uno di quei JRPG che erano fuori moda già venti anni fa. Il solito mondo caduto nelle tenebre da salvare, con la sua mappa, le sue città, le fortezze, gli scontri casuali, i negozi di armature, le locande che ricaricano punti vita e punti magia. In linea con lo spirito del genere… beh… è stato un incontro casuale. O forse no. Non so. Però non è stata una cosa voluta. Ero sull’App Store che cercavo altro, ma nel mezzo della mia ricerca sono stato attratto da un’icona che aveva qualcosa di vagamente familiare. Stupore: Dragon Quest. Il primo episodio, pubblicato qualche giorno fa da Square Enix. Da ragazzino andavo matto per quel genere e Dragon Quest è sempre stato per me un classico gioco vorrei ma non posso. All’epoca, infatti, per una cartuccia ci voleva la mitica centomilalire, e non c’erano mai abbastanza natali, compleanni e prime comunioni per raccogliere tutte le centomilalire necessarie. Toccava lasciare sullo scaffale tanta roba. In particolare io ho dovuto lasciare sullo scaffale più volte i miei amati JRPG, perché sapevo che una volta finiti, il mio interesse sarebbe svanito e non li avrei più rigiocati. A quel punto come intrattenermi fino al reperimento della centomilalire successiva? I più sagaci risponderanno “Postalmarket”. Vero. Il punto è che in più occasioni ho dovuto lasciare sullo scaffale episodi della serie Dragon Quest. Ma quello è il passato. Attualmente sull’App Store c’è il primo episodio, e qualche giorno fa me lo sono ritrovato davanti, in tutta la comodità ed economicità del digital delivery. L’impulso al click è partito direttamente dalla spina dorsale, dal sistema simpatico. Il cervello non ha potuto fare altro che registrare il fuoriprogramma rapido ed inaspettato. Che pistola… cosa me ne faccio di un JRPG nel 2014?!? Son vecchio per queste cose. Non ho tempo per giocare. Men che meno per giocare qualcosa di strutturato come un JRPG. Lo dovrei eliminare, ma istintivamente faccio invece partire il gioco.


La musica. L’ambientazione. I personaggi. È stato un improvviso viaggio emozionale al fianco di me bambino, in cui il me bambino e il me adulto si sono incontrati. È stata una sensazione incredibile, di comunione con la mia infanzia, di consapevolezza intima delle varie fasi dell’esistenza, e di come ogni singola fase influenzerà tutte le successive. Ho tracciato con la biro blu sulla carta le mappe dei dungeon. Mi sono sorpreso a pensare al gioco anche quando non mi trovavo davanti allo schermo. Ho percepito la voglia di arrivare a casa per proseguire la mia avventura. È stato tutto come ai vecchi tempi: bello ed emozionante.


E adesso?
Adesso ho finito Dragon Quest I.
Ho comprato Dragon Quest IV.
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venerdì 19 settembre 2014
Il Giapponese che mi piace


In lontananza, sebbene sia ancora un puntino sfocato, vedo l’inizio della rinascita del gaming giapponese. Sarà che ho visto su Sky le selezioni di X-Factor e mi sono imbattuto in questo simpatico fenomeno da baraccone, ma oggi vedo di nuovo un futuro per gli sviluppatori della terra del Sol Levante. In un solo giorno il Tokyo Game Show ha portato con sé in dote un nuovo fantastico trailer di Final Fantasy XV, l’annuncio del remaster in HD di Final Fantasy Type-0, venti minuti di gameplay di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, il nuovo trailer e la data di uscita occidentale di Bloodborne e le prime informazioni relative a Resident Evil Revelations 2. Oppure sarà per la mia attesa spasmodica verso l’ormai imminente Bayonetta 2, fatto sta che dopo molti (troppi?) anni bui riesco finalmente a vedere un futuro per i titoli giapponesi. Certo, sono ancora troppo poche le produzioni davvero tripla A, ma perlomeno qualcosa si sta muovendo.


Proprio questo Tokyo Game Show mi ha ricordato come i titoli che più attendo nel 2015, fatta eccezione per The Witcher 3: Wild Hunt, siano tutti a matrice nipponica. Se da una parte Kojima mi ha esaltato dapprima con i tanti gameplay del già citato quinto episodio di Metal Gear Solid e per la geniale operazione di marketing chiamata P.T., dall’altra parte c’è una pletora di titoli tutti potenzialmente interessanti: cominciando da D4, pronto a sbarcare su Xbox One suddiviso in tre episodi, passando per Bloodborne e finendo in un futuro molto lontano con X, Silent Hills e Kingdom Hearts 3.


So già che molti avranno da ridire su quanto scritto poco sopra, ma la mia grande passione per i videogiochi è sbocciata prima e si è ravvivata poi proprio grazie a grandi titoli con gli occhi a mandorla. Senza Final Fantasy VII, senza Resident Evil, senza Chrono Trigger sarei un videogiocatore diverso, o forse non avrei nemmeno più questa passione. Quindi gioia, gaudio e tripudio per questi segnali di risveglio. E ora tutti a cantare R’essenzialeeeeeeee.


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martedì 16 settembre 2014
In equilibrio tra passato e futuro


Sono next-gen munito da quasi un anno. Ho acquistato compulsivamente nell'ordine Xbox One, PS4 ad infine Wii U. Strano Wii U alla fine, lo so, ma è stato l'effetto Mario Kart 8, e cmq già ne ho scritto qui.
Contento di tali acquisti, nessun ripensamento, anche se, per ora, nel suo complesso si tratta più di una soddisfazione in prospettiva che dell'immediatissimo pieno godimento. Certo ho apprezzato Dead Rising 3, NBA 2K14, Watch_Dogs, Ground Zeroes, Super Mario 3D World (post in arrivo), Mario Kart e altro ancora... ma la scelta, visti i miei gusti "difficili" ed una sorta d'intolleranza che limita il mio consumo di FPS a non più di un paio l'anno, è stata più o meno obbligata. Per non parlare dei mesi estivi: diciamolo, quest'estate non è uscito praticamente nulla, a parte un famoso teaser, un paio di brevi beta e qualche "remastered" che per quanto possa essere super-stra-bellissimo, aver giocato gli originali nemmeno un anno fa mi fa per ora scansare le seconde edizioni (tranne eventuali DLC ora inclusi).

Sarà stato per le poche nuove uscite e forse il desiderio di colmare alcune mie lacune nonché il timore che il pluricitato "backlog" mutasse irrimediabilmente in "dimenticatoio". Sarà stata la padana pioggia d'agosto, e meno male che le Baleari ancora non si sono annesse. Io non so perchè (cit. Raz Degan), ma vengo da un mese trascorso, videogiocosamente parlando, con Snake Eater (MGS3), Ikaruga e Luigi's Mansion (il primo per GameCube), e lì pronti ad aspettarmi, scaletta già confermatissima, Conker Live & Reloaded, Psychonauts, Shadow of The Colossus e Dark Souls, intervallando il tutto con i nuovi FIFA e NBA 2K, Forza Horizon 2 e un paio d'altre uscite di fine anno.

Ok, e quindi? Domanda più che lecita: tale playlist sembra non aver alcun tema di fondo, nessun filo logico che colleghi tre/quattro generazioni di console, al di là della fortuna, lo ammetto, di avere tutto il necessario (hardware, software, spazio ed una compagna comprensiva) per fruirne a piacimento.
Eppure un elemento c'è: l'equilibrio, dettato dalla volontà di disintossicarsi dalle sterili discussioni a base di 1080p e 60fps al fine di rinfrescare la convinzione che il videogioco è nell'ordine gameplay, gusto artistico, fantasia e, solo infine, tecnica.

Così torno al passato, gioco quel che fu giudicato capolavoro lustri fa, in SD e magari su tubo catodico, riuscendo a goderne ancora pienamente oggi, tra l'altro felice di aver finalmente rimediato all'imbarazzante mancanza nel mio curriculum videoludico. Poi torno alla next-gen, e che siano 720 o 1080 non conta più: è tutto così bello da vedere, mi concentro finalmente sul gioco, sull'esperienza ludico-emotiva in quanto tale. Chiaro, PS4 e Xbox One devono stupirmi, la graphic whore vive sempre in me, ma non è quello il punto focale. Le gerarchie tra i valori sono ristabilite. Backlog, titolo nuovo, backlog. Next-gen, retrogaming (a qualsiasi livello), next-gen. Oppure anche l'alternanza indie - blockbuster tripla A (questa sembra estranea al discorso, ma non lo è se si pensa al discorso "valori").

Che sia questa la formula giusta? Per me, per il mio essere giocatore da oltre trent'anni, assolutamente sì, funziona a meraviglia: scelta decuplicata, divertimento di qualità a profusione, approfondimento Culturale (con la C maiuscola), sviluppo della consapevolezza critica. E' guardare al futuro, viverlo, imparando dal passato, perpetrandone lo studio.

Che ne pensate? Forse ho solo scritto una spataffiata di boiate e si tratta in fin dei conti di mera nostalgia di mezza età (e quella c'è, visto che sto ordinando una bella Vespa 125 Rossa fiammante). Sta di fatto che mi stia divertendo parecchio, pur nei limiti del poco tempo libero, e tanto mi basta.

E' che poi mi serviva un pretesto per introdurre una nuova rubrica qui sul blog. Ok non esageriamo, diciamo una nuova "etichetta": backlog. Non il retrogaming più classico, non solo almeno, ma opinioni e spunti su tutto ciò che non è più assolutamente attuale, ma a cui le nuove uscite sono certamente riconducibili. Vediamo come va... la famiglia (di POL) si potrebbe allargare. Vediamo... e intanto giochiamo.



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domenica 14 settembre 2014
Venghino Signori, venghino!



Negli ultimi tempi si sta assistendo ad un fenomeno realmente preoccupante, non tanto per le sue implicazioni a breve termine, quanto per quelle potenziali a medio-lungo termine. Sto parlando della sindrome dei saldi e dei pacchi regalo, promozioni commerciali particolarmente aggressive che stanno facendo nascere nei giocatori attitudini potenzialmente rischiose per il mercato.

In principio fu Steam, con i suoi famosi saldi. Come nel più classico dei negozi di abbigliamento, lo store virtuale di Valve ha iniziato a proporre ai suoi iscritti veri e propri periodi di svendita durante i quali è possibile accaparrarsi a prezzi fortemente scontati moltissimi titoli per PC. Poi venne Sony con il suo PlayStation Plus. Dopo aver sposato per anni la filosofia della gratuità del gioco online, il colosso giapponese si è trovato a dover fare i conti con la mancanza di una consistente fetta di introiti derivante dagli abbonamenti. Non potendosi rimangiare la parola e dovendo preparare il terreno all’online a pagamento della futura PlayStation 4, Sony ha così deciso di attirare gli utenti proponendo agli abbonati una selezione mensile di giochi gratuiti compresi nel prezzo e forti sconti su molti prodotti presenti nel suo store digitale. Considerato il successo dell’iniziativa, Microsoft si è (lentamente) adeguata al trend imposto dalla concorrente introducendo il servizio Games with Gold per gli utenti Xbox Live Gold.


Infine, l’ultima moda è costituita dai cosiddetti bundle, pacchetti di giochi per PC (e Android) proposti a prezzo irrisori (a volte addirittura a fronte di un’offerta minima) da numerosi siti online (Humble Bundle e Bundle Stars, giusto per citarne un paio tra i più famosi). Tutto questo volendo escludere App Store e Google Play, forse i veri e propri progenitori del gioco tanto e pago poco/niente, al punto che basta leggere le recensioni degli utOnti sui suddetti store per rendersi conto di come anche pagare 89 centesimi per un gioco sia ormai diventato motivo buono per gridare allo scandalo e inveire contro il malcapitato sviluppatore di turno.



A questo punto chi legge potrebbe legittimamente non capire dove voglio arrivare. In effetti, mettendosi dalla parte degli utenti, quanto sopra non può che costituire motivo di gaudio e tripudio per portafogli mai come in questo periodo in sofferenza. In realtà, analizzando il fenomeno con più attenzione, le cose non sono a mio avviso così positive come in realtà appaiono. Il mercato, infatti, si sta letteralmente drogando, tanto che ad acquistare un titoli a prezzo pieno ci sente quasi degli spreconi. “Tanto tra un paio di mesi lo si trova a metà prezzo da Amazon”. “E se tra un po’ lo regalano col Plus?” “Vedrai che finisce nei prossimi saldi di Steam!”. Esclamazioni (legittime) che si sentono proferire sempre più spesso ai giocatori, soprattutto quelli più appassionati che magari hanno a disposizione più macchine e, quindi, possono attingere alle offerte di più competitor.


Conoscendo personalmente persone che sviluppano videogiochi, vi posso assicurare che al già annoso problema di avere una visibilità sui suddetti store (ormai letteralmente inondati di prodotti), si sta aggiungendo anche questo problema: fare soldi è diventato molto, molto complicato, proprio a causa del crescente svilimento del valore commerciale dei prodotti.

La paura è che l’effetto perverso di questo meccanismo sia alla lunga quello di allontanare dal mercato videoludico una fetta sempre più consistente di sviluppatori e publisher, incapaci, appunto, di avere un ritorno economico dagli investimenti. Speriamo non sia così e che il mercato riesca in qualche modo a trovare un suo equilibrio senza grossi sconvolgimenti negativi per nessuna delle parti in gioco.
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venerdì 22 agosto 2014
Porca TroTa? Paura e Terrore? P.T.


Gamescom 2014, conferenza Sony: alle 19:30 sale sul palco Kojima, per raccogliere gli applausi di rito e presentare alcune nuove meccaniche stealth implementate in MGS5: The Phantom Pain. Un video esilarante, con usi bizzarri di scatolame vario, addirittura la confezione di una PS4 come copricapo/camouflage. Hideo, sei sempre il solito burlone..... TAC! Snake sparisce dallo schermo, i commentatori tutti ad ipotizzare problemi tecnici, il prossimo trailer in scaletta immediatamente lanciato per evitare l'imbarazzante black-out.

P.T. di 7780s studio. Cos'è? Un horror game apparentemente, lo schermo mostra le reazioni di scomposto terrore di due ipotetiche giocatrici. "Now available on PS4". Addirittura? Poi lights on, e sul palco un nuovo ospite, avanti un altro. Ma quel P.T.? Mai annunciato prima, eppure già disponibile. Lo scarico, via: 1.4Gb di demo gratuito, nessuna opzione di acquisto oneroso. Quindi è uscito o no? Boh, forse domani.. intanto meglio provarlo....


Intro inesistente, solo una spartano menu per regolare luminosità e lingua dei sottotitoli, quindi il risveglio in una stanza spoglia e semibuia. Che devo fare? Visuale in prima persona, i due stick analogici a controllare visuale e spostamenti, i tasti.. apparentemente inattivi, almeno per ora. Una porta, il solo avvicinarla la apre. Sono in un corridoio, una casa piuttosto comune, di sera, poche luci accese. Altre persone nei paraggi? Sembra di no... ma qualcosa di poco bello qui è successo di sicuro: lattine vuote per terra, decine di blister di pillole varie sparsi in giro, rifiuti, abbandono, foto strappate. Immagini di una coppia, i classici sposi degli States anni '70. Attraverso il corridoio, mi soffermo a guardare il telefono, non c'è verso che riesca ad interagire con qualche oggetto. Svolto l'angolo, una porta chiusa alla mia destra, più avanti l'atrio d'ingresso, la porta principale anch'essa sbarrata. Alzo la testa e vedo una balconata interna, luci spente al piano di sopra. Una radio è in bella mostra su di una credenza invasa da cartacce, fiori secchi, un'altra foto della coppia felice. Nessuna interazione, anzi sì. Casualmente scopro che si può zoomare con R3. Ma giusto quello, boh. Un'ultima porta lì in fondo, dietro cui intravedo la scala verso... credo il seminterrato, la luce è bassa come l'atmosfera generale impone. Scesi i gradini un'altra porta: ok vado, tanto qui non ho combinato nulla di che. Mi avvicino, si apre, un altro corridoio, simile a quello appena visitato.


Anzi, è lo stesso!! Ma che cazz@??? Eppure... qualcosa è cambiato. La radio gracchia notizie di cronaca nera, mi avvicino per sentire meglio, riprovo tutti i tasti, zoom. Clack! La porta in fondo, un secondo prima chiusa, si apre. Vado, scendo di nuovo i gradini, varco la soglia: ancora lo stesso corridoio, ma ora giungono rumori da quella porticina dietro l'angolo, sempre serratissima. C'è qualcuno, o qualcosa, lì dentro. La radio parla di un brutale omicidio multiplo. La tensione sale. Un nuovo loop. La tensione sale ancora. Un altro loop. Paura. Loop. Spavento. Loop. Sempre più paura. Loop e ancora loop. Angoscia, terrore, enigmi, frasi indecifrabili. E dopo due notti di prova e riprova risolvo finalmente l'enigma finale, ma non prima di aver consultato un numero imprecisabile di forum, perché la soluzione è tutt'altro che banale. Anzi, nemmeno sembra efficace al 100% e facilmente ripetibile. Questo P.T. sta facendo impazzire tutti i giocatori, l'intera comunità PS4 ne parla, ne discute, spuntano teorie strambe. E spunta soprattutto una rivelazione che... sarebbe da spoiler ma vabbé... se già non lo sapete è perché siete stati ai Caraibi lontano da tablet e smartphone per le ultime tre settimane. Quindi ben vi sta, che sono troppo invidioso. Ad ogni modo, tutti a parlare di questa demo. In primis perché la soluzione è difficilmente decifrabile. Anzi, ce ne sono di diverse, ma nessuna sembra sicura: assurdo, ma sicuramente originale. Secondo, è incredibile quanto un piccolo gioco con un singolo claustrofobico ambiente e minimali meccaniche di gameplay riesca nell'arduo scopo di terrorizzare il giocatore: paura genuina, atmosfera "agghiaccianDe" (qui siamo sempre sul pezzo!).
Terzo punto: finito il gioco si scopre che altro non è che il "Playable Teaser" (P.T.) di qualcos'altro, introdotto da un breve trailer.


Una cittadina apparentemente deserta, di notte, poche luci e tanta foschia. Bè, bella grafica, sembra quasi il Fox Engine... Visuale in terza persona, un uomo di schiena. Pochi passi, si volta. Ma è Norman Reedus, il Daryl di The Walking Dead!! E proprio lui, il suo nome sullo schermo, e poi quello di Guillermo Del Toro (un nome che non necessita di presentazioni, credo), quindi quello di Kojima. Infine, il titolo: Silent Hill...S.

"It will make you shit your pants". Hideo, il solito, geniale burlone.
Continua...
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