mercoledì 26 novembre 2014
Open-world old-style next-gen



Pensando all’argomento del mio prossimo post da scrivere sulle pagine di PlayOffLine, tra le varie opzioni che si sono aperte nella mia mente, a farsi largo con più veemenza è stata quella di scrivere di Sunset Overdrive. Il titolo sviluppato da Insomniac Games sta infatti riuscendo a divertirmi e a darmi il piacere di videogiocare come pochi titoli hanno saputo fare ultimamente. Affare fatto, mi sono detto. Se non che ho realizzato che, così facendo, avrei rimarcato ulteriormente il leit motiv che ha legato la maggior parte dei miei recenti scritti sul qui presente blog: negli ultimi mesi ho infatti spesso disquisito con piacere di molti dei cosiddetti “open world”, dal troppo esaltato inFAMOUS, all'eccessivamente criticato Watch_Dogs, passando persino per le vecchie ed impolverate mulattiere di Red Dead Redemption, fino ad arrivare alla conclusione (sviscerata in apposito scritto) di come per me, in questo momento, il godimento videoludico derivi in buona parte dalla possibilità di esplorare ambientazioni virtuali particolarmente ampie e ben caratterizzate. Ma se da un lato sarebbe facile dedurre come anche il mio gradimento verso Sunset Overdrive derivi in gran parte dalla cura nella realizzazione di Sunset City, dall’altro ridurre la qualità del titolo Insomniac a solo questo aspetto sarebbe ingiusto nei confronti del prodotto in generale.
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martedì 25 novembre 2014
The Evil Within (me)



Sono giocatore di vecchia data, passato dagli arcade degli anni ’80 fino ai giorni nostri attraverso tutte le generazioni di console, PC e quant’altro servisse a giocare il meglio dell’offerta globale. E sono sempre stato restio ad abbandonare un titolo iniziato e giocato per oltre due ore (escludendo quel remoto periodo della pirateria facile... lo ammetto e mi cospargo di cenere). Da sempre, fin dalla loro nascita, sono stato amante dei survival horror (a proposito, chi mi vende un Resident Evil 1 prima edizione – non Platinum - per PSX ? :) ) e mai riluttante ai giochi che offrissero un minimo di sfida. Per dirne un paio, finivo Black Tiger in sala con un solo gettone senza trucchetti di sorta, e quest’estate mi sollazzavo a trestellare completamente Super Mario 3D World. Non è difficile dite? Provate a completare gli ultimi 3 livelli dell’ultimo mondo bonus e mi direte. E comunque sto facendo lo stesso con DKC Tropical Freeze, quindi posso a ragion veduta considerarmi un giocatore che gode della sfida. Non quella del gioco competitivo online, quella non fa per me, sportivi a parte. Ma la sfida così come pensata, implementata, raffinata dai creatori del gioco per la campagna in solitaria, quella sì mi avvince. Questa la premessa per parlarvi dell’unico gioco che negli ultimi anni è stato in grado (e non è un complimento) di far vacillare i miei credo, soprattutto quello relativo all’abbandono di quanto iniziato e inizialmente piaciuto. Dicevo di essere amante dei survival horror in genere, ma soprattutto di quelli dell’epoca PSX/PS2 coi vari capitoli di Resident Evil e Silent Hill: grandi atmosfere, scontri da evitare quanto più possibile, munizioni col contagocce. Quindi, dopo aver sbrodolato su quel riuscitissimo esperimento di marketing virale chiamato P.T., potevo esimermi dal giocare l’ultima opera di Shinji Mikami nello splendore delle console next-gen? Certo che no! Ma che fatica gente! Vi spiego…


The Evil Within è un bel gioco. È davvero un degno successore di Resident Evil (soprattuto del quarto capitolo). È ricco di atmosfera, artisticamente è pregno di stile, e fa pure la sua porca figura su PS4, a patto di accettare le bande nere applicate, ufficialmente, per dare un formato più cinematografico, ma in realtà utili a ridurre il carico computazionale e ad aiutare un frame-rate solo discreto. Ma va bene così, non siamo né al Nurburgring né in un arena di space marines dotati di jet pack. Qui la missione è sopravvivenza, non carneficina, stealth e fuga ogni volta che si può e scontri al minimo, quanto più ragionati siano possibili, a preservare le poche munizioni, la cagionevole salute e l’ancor più precaria forma fisica (intesa come durata dello sprint). Anche perché dal punto di vista dinamico il protagonista, la visuale e una certa legnosità della telecamera non sempre sono adatti ad affrontare le situazioni proposte, soprattutto nei contesti più intimi e ravvicinati. Ma si tratta di survival horror, è Mikami, ed è bellissimo nonostante sia il 2014. Dico davvero. Anche se (un altro) la trama si sviluppa in maniera troppo criptica e allucinata, ma è il survival horror Jappo, e ci sta. E anche se (l’ultimo), alla prima run e senza una pianificazione coadiuvata da una buon walkthrough il gioco costringe ad una fruizione al livello di difficoltà più basso (dei due inizialmente disponibili, settando come default quello superiore), e lo fa subdolamente, senza giocare ad armi pari con l’utilizzatore me medesimo. Questa cosa, però (e non c’è survival horror o Mikami che tenga), mi fa proprio inca@@are. Perché un conto è costringermi a razionare munizioni e upgrade, a studiare ogni centimetro dell’ambiente per trovare soluzioni alternative e rifornimenti, a farmi ripetere sezioni di gioco più volte perché l’approccio o l’esecuzione è stata sbagliata, accettando pure qualche “Continue?” dovuto alla legnosità dei controlli. Ma un altro (conto) è predisporre picchi di difficoltà disonesti, dove il boss di turno non offre alcuna indicazione sull’efficacia dei miei attacchi e, di contro, dispensa instant kill come se non ci fosse un domani, e soprattutto come se il protagonista fosse munito di quel già citato jetpack o di chissà quali capacità evasive. Certo a furia di dai e dai ce la si può pure fare a superarne uno, ma quando poi ne capitano due a distanza ravvicinata senza nel mentre offrire adeguati rifornimenti, la cosa si fa esasperante.

Nel mio caso ciò è avvenuto alla fine del decimo capitolo (di quindici): tre sessioni di gioco per un totale di quasi sei ore a provare e riprovare il medesimo scontro, imprecando come se conoscessi tutte le religioni del mondo e consumando etti di tabacco ad effetto terapeutico. Alla fine ho ceduto, menù opzioni e difficoltà abbassata (poi chiaramente non più innalzabile) e forzata ripetizione dell’intero capitolo. Non che le cose siano poi cambiate chissà quanto, ma per lo meno ho potuto notare una certa generosità nel dispensare scorte e, credo, una limitata resistenza dei nemici/boss, utile al superamento di quel maledetto capitolo dopo solo un paio di nuovi tentativi. Poi, da lì in avanti, nessun’altra vetta di sclero, e devo dire di aver portato a termine il gioco con una certa compiaciuta soddisfazione.


Però ora vorrei che il signor Mikami ed il suo team mi spiegassero che diavolo è successo durante lo sviluppo di quella stramaledetta sezione di gioco. È stata una scelta consapevole? Davvero? Perché allora ai recensori destinatari delle copie review è stato suggerito di giocare a livello “easy”, mentre il gioco propone di default il livello superiore? Sa tanto di grossolana pezza dell’ultimo minuto, a cui però sarebbe dovuta susseguire una vera e propria correzione software. Ma non è capitato, non ancora almeno. E quindi forse davvero è stato fatto di proposito… oppure sono io ad aver perso capacità videoludiche nel corso degli anni? Beh, mi sarò letto forse una decina di review e nessuna evidenzia lo stesso problema, tranne una, pure piuttosto autorevole e credibile, e che, guarda caso, punta il dito proprio sullo stesso passaggio qui criticato. Che sia l’unico recensore, tra quelli di cui ho letto l’articolo, ad aver ignorato l’esplicito consiglio di Bathesda? Chi lo sa, gli altri nove non hanno specificato… 


Per quanto riguarda la mia personale esperienza, ritengo che lo sviluppatore abbia deliberatamente ignorato il valore del mio tempo, sottoponendomi una sfida eccessivamente impari. Ed è un gran peccato, perché The Evil Within resta opera di buona fattura che certo non spegne il mio desiderio per un nuovo capitolo. Però, caro Shinji, ricorda: “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”. E non mi importa che tu includa “Evil” nel titolo di ogni tuo gioco. Non ti giustifica, ok?
Continua...
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