martedì 28 ottobre 2014
Sarà possibile retrogiocare nel futuro?


Internet, connettività 24x7, il cloud e tutto quello che vi ruota intorno è da tempo parte integrante della nostra quotidianità. Social, mail, WhatsApp, streaming video e musicale, gioco online, digital download. Tutto è sempre meno fisico e sempre più digitale, binario e virtuale. Progressivamente spariscono le cartoline delle vacanze, le foto da catalogare in album pesanti e polverosi, i dischi e i film sulla libreria. Anzi, in molti casi l’oggetto fisico è sparito già da tempo, al netto di poche eccezioni demodé. Certo ci sono tanti vantaggi per i consumatori: accessibilità a cataloghi infiniti, sempre ed ovunque, prezzi ridotti (almeno in molti contesti tra cui comunicazione e musica, ma non in tutti chiaramente, non ancora o non sensibilmente), tutto o quasi immediatamente disponibile.  Bello vero?
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mercoledì 15 ottobre 2014
Fine dei giochi, tutti a casa


Il titolo è fuorviante. State tranquilli, non voglio parlarvi della fine del settore videoludico. Non sono Michael Pachter ne tantomeno il Divino Otelma. Non ho quindi alcuna pretesa divinatoria, il mio unico intento in questo articolo è quello di parlare del tanto vituperato concetto di Game Over. In un modo o nell’altro, tutti i videogiochi si poggiano su questo banale quanto importante concetto. La sfida è proprio garantita dalla necessità di non dover ricominciare dall’inizio un livello o dal non dover ripartire da un checkpoint a volte lontanissimo, causa di molteplici frustrazioni se la medesima sezione viene ripetuta più e più volte. Tutti i videogiochi, salvo poche rare eccezioni, vivono di game over e del perfetto bilanciamento nell’evitare che si verifichi troppo frequentemente o troppo di rado. Però, pensandoci bene, è un aspetto che nasce e muore con i videogiochi, praticamente mai esplorato in altri settori, vuoi perché difficile da portare in ambito letterario o cinematografico, vuoi perché presuppone una partecipazione attiva da parte dell’utente finale.


Questo perlomeno fino a qualche giorno fa, quando ho scoperto (e visto) Edge of Tomorrow, con la premiata ditta Tom Cruise – Emily Blunt. In modo particolare il film si poggia sull’ormai non più giovane Tom ed il suo carico di ego e Scientology, protagonista di questa pellicola fantascientifica basata sulla light novel giapponese “All You Need is Kill”, scritta da Hiroshi Sakurazaka. La trama del film diretto da Doug Liman è molto semplice: gli extraterrestri hanno invaso la Terra e sembrano destinati a soccombere sotto i colpi dell’esercito umano, capace di tenere testa alle creature aliene grazie all’utilizzo di esoscheletri in grado di aumentare le capacità fisiche e le bocche da fuoco a disposizione di ogni singolo soldato. E fin qui tutto semplice. Tom Cruise veste i panni del maggiore Cage, più uomo-figurina che vero militare, inviato però in battaglia (controvoglia) ed in prima linea in quella che dovrebbe (?) rappresentare il colpo finale alle forze aliene. Senza svelare molto altro, Tom Cruise muore dopo 15 minuti di film. E riparte da un checkpoint, nel senso che si risveglia 24 ore prima e ricomincia da zero. E muore ancora. E ancora. Muore ma impara dai propri errori, come nei videogiochi. Capisce quali sono i pattern d’attacco dei nemici, si ricorda se sbucano fuori dal terreno o da dietro una roccia e migliora costantemente le proprie abilità in battaglia. Senza svelare altro (quanto scritto poco sopra si vede nei trailer, così come i promotional poster riportano la tagline “Live, Die, Repeat”), Edge of Tomorrow mi sembra la migliore trasposizione del Game Over applicato al cinema. Ne cattura appieno lo spirito ed è quanto di più vicino per concetto ad un qualsiasi videogioco d’azione o sparatutto.


Certo, non è un capolavoro di sceneggiatura e le interpretazioni sono adeguate a quello che vuole offrire il film, cioè due ore di sano divertimento. E ci riesce appieno, portando su schermo un ritmo estremamente serrato e scene a volte quasi comiche, soprattutto nei buffi tentativi del maggiore Cage di arrivare al checkpoint successivo. Allo stesso modo, in qualsiasi videogioco il giocatore si affanna e ce la mette tutta per arrivare al checkpoint, livello, mondo o puzzle successivo. Mi chiedo se il videogioco possa vivere senza Game Over e non ho una risposta precisa, sebbene ci siano vari esempi di titoli che cercano di smarcarsi da questo concetto una volta ritenuto basilare (To The Moon, i giochi di David Cage etc.). Ma siamo sicuri di volere dei giochi senza game over? La mia risposta è un sonoro quanto deciso, no. 
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lunedì 13 ottobre 2014
Touring Club videoludico



Di recente mi sono trovato molto spesso a chiedermi il motivo per cui arrivato alla veneranda età di 36 anni il videogioco continua a rivestire un'importanza così grande nella mia vita. Come frequentemente accade di fronte ai numerosi dilemmi più o meno futili che il mio cervello bacato si auto-pone, non sono riuscito a darmi una risposta pienamente soddisfacente. In realtà "mi piace e basta" sarebbe già di per sé motivo più che sufficiente per troncare sul nascere la questione. Tuttavia, in una delle numerose notti insonni che funestano questo periodo poco tranquillo della mia esistenza, la riflessione è stata oggetto di ulteriore approfondimento, soffermandosi in maniera più specifica sul mio particolare gradimento verso i titoli con un'ambientazione virtuale particolarmente riuscita. Così mi si è accesa la lampadina e sono giunto ad una conclusione tanto banale quanto la domanda stessa: amo i videogiochi per l'immedesimazione che riescono a darmi rispetto ad altre forme di intrattenimento meno "interattive" come cinema e libri. Perché, insomma, mi fanno "vivere" e non "subire" una storia, un'avventura e, soprattutto, perché mi rendono partecipe di un viaggio verso luoghi fantastici.

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giovedì 9 ottobre 2014
La nuova Vita di PS Vita

Nonostante sia ormai grandicello (le primavere sono quasi 36) riesco ancora a stupirmi per molte cose. Mi stupisce vedere Miguel Serse a X-Factor che canta “ho il mercedes”, mi stupisce che qualcuno abbia creduto che Red Bull mettesse davvero le ali, così come mi stupisce il mio rinnovato interesse verso PS Vita. Incredibile ma vero, squilli di trombe, fanfare e vuvuzela… la mia PS Vita non sta prendendo polvere sulla mensola, non è finita come usato da Gamestop e soprattutto non è spenta dal lontano 22 febbraio 2012, data di uscita della console in Europa. Oltre a stupire me, potrei aver stupito più di un lettore per questa mia balzana affermazione. PS Vita è infatti viva e vegeta, mi sta regalando più di una gioia e soprattutto ha capito qual è la sua dimensione all’interno dell’attuale mondo dei videogiochi. PSP ha avuto gli stessi identici problemi e, fatta eccezione per il Giappone, è stata un gran bel fallimento in tutto il resto del mondo. La stessa cosa vale per PS Vita ed il motivo è perché… mancano i giochi. Ma ne siamo così sicuri? Oppure dovremmo dire che “mancano i giochi a scaffale?”. A mio avviso la realtà nuda e cruda è semplicemente questa: un acquirente di PS Vita trova poco o nulla sugli scaffali dei GameStop di turno. Ma nel 2014 ha ancora senso recarsi in negozio per acquistare un videogioco per console portatile? Gli utenti Nintendo staranno strabuzzando gli occhi e diranno che, sì, ovvio che ha senso. Ecco, per me non ne ha.


Ormai da anni siamo tutti entrati nell’era dello smartphone, dove basta un click nello store per scaricare un’App, sia essa gratuita oppure a pagamento. Sony non sta facendo altro che replicare almeno in parte la strategia dei vari produttori di smartphone (e di relativi OS), cioè sta mettendo sul mercato il 90% del catalogo in formato digitale. Certo, alcuni titoli escono ancora nella doppia versione digitale/fisica, ma ormai la maggior parte dei titoli, anche quelli interessanti, esce unicamente in versione scaricabile. Oltretutto, sono sempre di più i casi di giochi cross-buy, cioè acquistabili su PS3 o PS4 e scaricabili gratuitamente per PS Vita. Emblematico è il caso di Hotline Miami, titolo che ho finito nella sua versione portatile, ma giocabile anche sulle due console casalinghe. Inoltre i salvataggi sul Cloud permettevano di cominciare una partita su PS Vita e di continuarla poi a casa su PS3 o PS4, per poi magari riprenderla in viaggio il giorno successivo, di nuovo su PS Vita. Sono proprio queste le possibilità che mi aspetto da una console portatile: non solo l’esperienza portable, ma anche il cross-buy e la possibilità di usufruire dello stesso software su più piattaforme, in modo da ottimizzare i tempi e godermi il gioco anche quando lontano da casa.


Tornando alla questione giochi disponibili, siamo così sicuri che il catalogo di PS Vita sia scarno? Forse scarno dei cosiddetti tripla A, ma i nuovi titoli resi disponibili ogni mese non sono poi così pochi e sono adattissimi alla fruibilità portatile. Inoltre tra PS Plus, sconti, saldi e offerte, si riesce a giocare non dico a costo zero, ma quasi. Negli ultimi mesi il mio unico esborso di denaro è avvenuto per l’acquisto di Hotline Miami e Murasaki Baby, tutto il resto mi è stato gentilmente offerto gratuitamente attraverso PS Plus. Certo, tra i giochi disponibili c’è più di un titolo che fa storcere il naso (Metrico e TxK non mi sono piaciuti per nulla), ma anche solo nell’ultimo paio di mesi sono usciti i vari Fez, Joe Danger, PlayStation All-Star Battle Royale, Pixeljunk Shooter Ultimate e Velocity 2X, tutti rigorosamente gratuiti e tutti sicuramente godibili.

Qual è quindi il futuro di PS Vita? Il futuro a mio avviso è già il presente, fatto di titoli indipendenti, alcuni giochi minori convertiti da smartphone, cross buy PS4-PS Vita e remote play, altro punto non toccato in questo articolo ma sicuramente interessante per tutti coloro che hanno acquistato la console. Per alcuni non sarà sufficiente, ma dal mio personalissimo punto di vista è ben più di quanto mi potessi inizialmente aspettare da questa tanto bistrattata console. 
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lunedì 6 ottobre 2014
Ed io che pensavo che Twin Peaks fosse strano.. - D4


Se vi chiedessi, a freddo, cos'hanno in comune David Lynch e Hidetaka Suehiro probabilmente rimarreste spiazzati. Ma se vi dicessi che il secondo è noto in ambito videoludico come Swery? Vi ricorda qualcosa? Forse... E se citassi Deadly Premonition? Ahhhh!! Ora ve lo ricordate vero? Sueshiro-san è proprio l'autore di quell'assurda miscela a forti tinte kitsch tra avventura poliziesca e survival horror, con formula sandbox, pubblicato su varie piattaforme quattro-cinque anni fa, dividendo la critica a tal punto che, a mio avviso, se n'è sicuramente parlato molto più di quanto non lo si sia giocato. Perché se da un lato mostrava un comparto tecnico sicuramente sotto gli standard dei tempi, dall'altro dimostrava un carattere tutto suo nel suo modo di essere assurdo, soprattutto nelle atmosfere, quasi del tutto inedite per un contesto ludico ma fortemente ispirate al Twin Peaks di David Lynch, serie tv cult degli anni '80 che sicuramente non ha bisogno di presentazioni.
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