martedì 11 agosto 2015
Estremismi videoludici


La Gamescom appena conclusa, al di là dello strepitoso successo in termini di presenze (ben 345.000 visitatori da 96 paesi), è balzata agli onori della cronaca per la decisione di Sony di non organizzare una sua press conference (che si terrà, invece, alla Paris Games Week del prossimo ottobre), lasciando, di fatto, campo mediatico libero a Microsoft. Il media briefing della casa di Redmond è stato privo di veri e propri "megaton" (tutto era pressoché già risaputo), ma è stato comunque piuttosto solido e convincente. Giochi molto importanti come Quantum Break, Crackdown 3 e Scalebound (che per motivi di tempo o scelte interne non erano stati mostrati allo scorso E3 di Los Angeles), hanno avuto ampio risalto, così come una nuova demo di Rise of the Tomb Raider e l’annuncio di Halo Wars 2. Insomma, chiunque avesse avuto dei dubbi sul fatto che Microsoft stesse facendo tutti gli sforzi per risollevare le sorti della propria console si è dovuto sicuramente ricredere, dato che tra fine 2015 e 2016 la line-up di Xbox One è sicuramente ricca di titoli esclusivi di elevata caratura. 
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mercoledì 5 agosto 2015
Basta un sorriso – Pixels

L’hype, lo sappiamo, è una brutta bestia, difficile da domare. Più è alto, più la ricerca della perfezione nel valutare il risultato finale è morbosa ed erode obbiettività al giudizio. Questo però accade anche quando l’aspettativa è talmente bassa da generare pregiudizio, ovviamente negativo. E di questo ne è palese esempio Pixels, il nuovo film diretto da quel Chris Columbus già celebre per alcune pellicole anni ottanta/novanta tra cui I Goonies, Gremlins, Mamma ho perso l’aereo, Mrs.Doubtfire, L’uomo bicentenario, nonché per la serie Harry Potter. A dire il vero il coinvolgimento di Columbus dovrebbe determinare un innalzamento delle aspettative, e chiaramente lo fa, aggiungendosi all’effetto nostalgia dettato dal tema portante della pellicola: i videogiochi arcade dei primi anni 80. Dall’altra parte però c’è la presenza, come attore e co-produttore, di Adam Sandler, la cui carriera ha sempre oscillato intorno ad una “mediacritic” giusto sufficiente, con pochi discreti acuti ed una crescente disapprovazione popolare. Addirittura qui nella cerchia di POL c’è chi lo definisce il “male della commedia americana”. Per quanto mi riguarda, Sandler è onesto mestierante, un sei punto cinque in una scala da uno a dieci: insomma c’è di meglio ma anche molto, molto di peggio. Ma per qualcuno, forse molti, è il male, indi anche questa operazione nostalgia è male a prescindere, schifezza annunciata ed ineluttabile. Pregiudizio. Che ho voluto completamente abbandonare, sia esso positivo o negativo, nel momento in cui ho acquistato i biglietti del cinema.
Il prologo così fedelmente anni ottanta (che meraviglia di sala giochi!) apre la visione nel migliore dei modi, tanto da desiderare un intero film dedicate a quel magico contesto, magari meglio realizzato del buon vecchio The Wizard ( in Italia “Il piccolo grande mago dei videogames”). Ma vabbè l’obbiettivo narrativo qui è diverso. Ad ogni modo, il pretesto per l’invasione aliena a suon di sfide retrogiocose ci può stare così come il riciclare alcune idee dal mito Ghostbusters. Lo sviluppo però vive di un’alternanza di momenti buoni ed altri proprio no, che qualcuno sicuramente imputerà al solito Sandler. Ma, ricordiamolo, Sandler non si è occupato della sceneggiatura, non direttamente almeno, e a dirla tutta i momenti meno riusciti non sono quelli che lo vedono protagonista, bensì quelli, banalmente inappropriati, incentrati sul Presidente Cooper aka Kevin James, e pure alcune battute, non tutte, del Dinklage di Game of Thrones, qui alle prese col ruolo del campione spocchioso e sleale in cerca di redenzione (e di un po’ di divertimento “spinto” con Serena Williams e Martha Stewart, quella sì una gag divertente). Sorvoliamo su alcune imprecisioni storiche di poco conto e pure sulla non-originalità del tema, anzi contiamole ma controbilanciamole con alcuni cammeo e citazioni di pregio. E poi torniamo alle sfide con gli alieni, fulcro del film: sono divertenti, ritmate e visivamente molto godibili. E per finire, pure l’onnipresente sotto-storia d’amore strappa qualche sorriso. A conti fatti, Sandler nel ruolo del fenomeno dei videogiochi prima sfigato poi celebrato va anche bene, non vincerà certo una statuetta ma la sufficienza la supera senza problemi. E con lui nel ruolo dell’eccentrico amico d’infanzia Ludlow, il buon Josh Gad, protagonista di alcuni momenti davvero esilaranti, e l’immancabile ruolo rosa assegnato a Michelle Monaghan, sempre un piacere.
Non so in 3D, ma visto nelle tradizionali due dimensioni l’obbligatorio uso della CG riesce molto bene nell’intento di rendere fisici, brillanti e dinamici quei vecchi sprite, nonché visivamente credibile e spettacolare la pixelation cubica che distrugge tutto ciò che tocca. Nel contesto di quello che deve raffigurare, il risultato è piuttosto spettacolare, sicuramente in grado di strappare qualche sorriso di meraviglia. In termini di regia, Columbus fa il suo discretamente, pur dovendo fare i conti con i succitati limiti del plot e nell’ottica di un film per famiglie. Ecco, questo è il punto della questione: Pixels non vuole certo essere il filmone per eletti, bensì una commedia per tutti, per i piccini sicuramente ma anche per i loro papà, quarantenni cresciuti a spendere monetine in fumosi bar di quartiere. Come operazione nostalgia funziona, come film per famiglie funziona. Ed io sono uscito dalla sala conscio di non aver visto un capolavoro ma comunque con un sorriso sulle labbra e l’animo leggero. Delivered, achieved. Nella mia personale classifica dei film a tema videoludico Ralph Spaccatutto resta una bella spanna sopra, ma, consentitemi il paragone, rivedrei mille volte ancora Pixels piuttosto che una solta volta il soporifero Frozen. Non me ne voglia l’Academy.
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lunedì 3 agosto 2015
Gaming Effect - Episodio 43

 
Il mercato dei videogiochi è in una fase di espansione e migliaia di copie vengono vendute ogni giorno, sia su supporto fisico che in digitale.
Quanti di questi giochi verranno quindi veramente portati a termine dagli acquirenti?
Partiamo dai pochi dati pubblici disponibili, alcuni dei quali provengono dai trofei di PlayStation 4 e PlayStation 3, per analizzare il fenomeno, scoprendo un dato sconvolgente: solo un terzo dei titoli acquistati viene effettivamente giocato a fondo e finito.
Quali possono essere le cause?

Potete ascoltare / scaricare l'episodio:
Buon ascolto! Come sempre, se vi va di commentare, qui o sulla pagina ufficiale di Gaming Effect, siete i benvenuti.
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venerdì 17 luglio 2015
Orrori estivi

In questa calda estate milanese, il mio videogiocare procede a tentoni, svogliato ed accaldato come un anziano esposto al sole durante le ore più calde (cit.). Dopo essermi entusiasmato come un bambino all’uscita di The Witcher 3 (salvo poi rendermi conto dell’impegno che era necessario profondere per fronteggiarne l’immensità), ho riposto con cura il titolo di CD Project Red nella lista dei “to do”, ripiegando su titoli sulla carta più adatti a fruizioni canicolari. La scelta è ricaduta su Wolfenstein: The Old Blood e su F1 2015. I due titoli, seppur appartenenti a generi completamente diversi tra loro, sono riusciti a fare comunella nell’accaparrarsi le mie afose bestemmie grazie ad alcune immani boiate che ne minano, a mio giudizio, la loro (buona) qualità complessiva. Ma andiamo con ordine…
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Letture da spiaggia...

Aaaah, l’estate! La stagione che tutti, o quasi, attendono per nove mesi, salvo poi lamentarsi per il caldo eccessivo, i giorni di ferie contati, il costo delle vacanze, il sovraffollamento delle spiagge, si stava meglio quando si stava peggio. Che poi se questo è un modo per riferirsi genericamente agli anni dell’adolescenza, nel contesto di definire l’estate come stagione regina... Beh, è innegabile: tre mesi lontani dai banchi di scuola, un centinaio di giorni da dedicare agli amici, al campetto, al sole, al mare, alle ragazze (ci si provava almeno) e, perché no, ai videogiochi. A casa in città, in quella del mare o nelle sale giochi delle località turistiche, ultimi baluardi del settore arcade. Ma questo era il passato. Ora quei tre mesi di spensieratezza si concentrano in due, tre settimane quando va bene, le sale giochi sono introvabili, ed è pure giusto e salutare godersi un po' di spiaggia con la fidanzata/moglie/famiglia, lasciando le console portatili in favore di altro, inclusa una buona lettura sotto l’ombrellone.

E tra un romanzo di Deaver e la lettura quotidiana della rosa, quest’anno ho optato per quel tomo di seicento pagine intitolato “The Ultimate History of Video Games”, firmato da Steven L.Kent.
Giornalista di settore da oltre due decenni, per oltre due decenni ha scritto di vg su importanti testate a stelle e strisce nonché in alcune enciclopedia tra cui Encarta e l’Encyclopedia Americana, oltre ad alcuni volumi per Prima Games e MCGraw-Hill tra cui il “making of” di Final Fantasy The Spirit Within e di Doom 3. Nel mentre ha pure scritto romanzi sci-fi, la serie “The Clone”, di un certo successo, tanto che pare abbia scelto di volersi dedicare a questi a tempo pieno ormai. Per fortuna, nel 2001 ha trovato modo di completare una delle opere più complesse, a detta dell’autore, a cui abbia mai lavorato, questa “The Ultimate History of Video Games” che mi son portato in spiaggia per una settimana. 
Allora.. intanto un mea culpa: libro pubblicato nel 2001, siamo nel 2015. Probabilmente già molti di voi l’avranno letto, io pure lo iniziai anni addietro ma, non ricordo perché, lo misi da parte, non certo per sopraggiunta noia ma probabilmente dirottato sulla “next big thing”, come vuole il manuale del perfetto videogiocatore affetto da acquisto compulsivo. Comunque, se la vostra passione per il videoludere supera i confini del classico torneo di PES, se la vostra curiosità si spinge a ritroso nel ventesimo secolo, se non avete mai letto tale librone di Kent… bè, fatelo. Perché, partendo da Pong fino ad arrivare all’annuncio di Xbox (la prima), passando per l’era d’oro degli arcade, la nascita e la caduta di Atari, la guerra tra Nintendo e Sega nonché quella con i tribunali d’America, da Mortal Kombat a Doom passando per la strage di Coloumbine, TUHoVG non si limita ad offrire una mera cronaca dei fatti, bensì un storia appassionante quanto veritiera, narrata con un amore e un’attenzione palpabili, amalgamata e sviluppata senza imperfezioni o soluzioni di continuità. L’abilità novellistica di Kent permea quella saggistica per un risultato preciso quanto un tg ma allo stesso tempo avvincente quanto un romanzo, descrivendo i fatti ed arricchendoli quotando le impressioni dei personaggi che li determinarono, evidenziandone le correlazioni e gli aspetti umani tanto quanto le strategie industriali e di marketing, senza tralasciare l’impatto sulla società e le istituzioni. Il tutto sull’asse Stati Uniti – Giappone, dove buona parte della storia videoludica si è svolta. Non che il vecchio continente non sia proprio considerato, Rare è tra i “personaggi” importanti di questa storia, ma certo non nella stessa misura. Questo se vogliamo l’unico difetto dell’opera di Kent, soprattutto se letta da qui. D’altra parte, è pur vero che fino alla fine degli anni 80, l’Europa era sì fruitrice di videogiochi ma in termini di produzione era parecchio distaccata rispetto a yankee e sol levante, al netto di alcune eccezioni quali Sir Clive Sinclair, Psygnosysis, Ocean, la già citata Rare e poche altre. Nel suo complesso, trattasi di opera di altissimo livello, imprescindibile per chiunque voglia capire dove e come questo nostra passione ha avuto origine, chi ne sono stati gli artefici e che gli aspiranti carnefici. E la consiglierei anche a tutti quelli che ancora considerano il media come cosa da ragazzini,  ed ancor più a coloro che fanno di tutto per denigrarlo.
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lunedì 13 luglio 2015
Semplicemente.. Grazie Iwata-san



Certo PlayOffLine non è un news-blog, e se a volte commentiamo notizie o annunci è per approfondirne alcuni aspetti piuttosto che per dovere di cronaca. Oggi però vogliamo fare un'eccezione per rendere omaggio a Satoru Iwata, il Presidente Nintendo scomparso in questi giorni, dopo una lunga, incurabile malattia. Per la sua biografia vi rimandiamo a Wikipedia e ai mille speciali che stanno proliferando in rete. Noi ci limitiamo a ringraziarlo per una vita dedicata fino all'ultimo ai videogiochi, a farci giocare e a giocare con e come tutti noi. 


"On my business card, I am a corporate president. In my mind, I am a game developer. But in my heart, I am a gamer". Questo era Iwata, business-man geniale, creativo di grande talento, vero amante del media videoludico. E uomo che ci ha sempre messo la faccia, pur nel suo simpatico, impacciato Inglese. 



Grazie Iwata-san, grazie. E stasera si gioca a Ballon-fight su NES.
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venerdì 3 luglio 2015
Il mio E3 (a bocce ferme)


Sono passate due settimane, anche se a me sembrano due mesi. L’E3 è un frullatore, ti drena le energie e sembra quasi di aver vissuto un mese in soli quattro giorni. Qualcuno dirà invece che sono già passate due settimane e che quindi non ha più senso parlare ancora della fiera losangelina. Io però ho dovuto metabolizzare la stanchezza, il viaggio, riordinare le idee e cercare di capire cosa mi ha lasciato questo E3 2015. Cosa mi ha lasciato da videogiocatore ovviamente. Mi sento quindi di fare un’analisi a ragionamenti fatti, a bocce ferme. Quali bocce? Di certo non quelle delle avvenenti standiste....
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giovedì 2 luglio 2015
Per favore, non scherziamo coi sentimenti..

Tredici anni sono trascorsi, tredici anni di speranze mancate, rumor inattendibili, mille forse e poche tristi certezze. Tredici anni dal Shenmue 2 per Dreamcast, secondo capitolo di quel capolavoro di nicchia (così decretarono critica – inclusa la mia - e vendite) ideato e diretto da Yu Suzuki, genio creativo dietro ad alcuni dei più grandi successi targati Sega: da Space Harrier a Hang On, da Out Run a F355 Challenge, passando per i vari Virtua Racing, Virtua Fighter (IMHO serie “picchiaduristica” seconda, al fotofinish, solo a quella di Street Fighter), Virtua Cop. E per Shenmue.
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mercoledì 24 giugno 2015
Sulle strade di Arkham


Batman Arkham Knight è appena uscito, facendo incetta di votoni un po’ ovunque, ed io davvero non vedo l’ora di giocarlo. I primi due capitoli mi sono piaciuti parecchio, e questo terzo conclusivo (sembra)  capitolo è ancora più ampio, ricco e oscuro. E poi finalmente potrò tornare a bordo di una Batmobile, con cui spero di ritrovare quel piacere che latita dal 1989, anno del Batman: The Movie per Amiga firmato Ocean. E’ il mio titolo dell’estate, punto. Ma prima mi sono ripromesso di finire quel meraviglioso pugno in faccia chiamato Bloodborne. Ho provato a giocarlo alternandolo ad altro, niente. Richiede dedizione. E mi piace. Quindi nessun altro vg fino al suo completamento, non più tardi di fine mese giurin giuretta!
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lunedì 1 giugno 2015
Ammiro - Mad Max: Fury Road


Eccomi di rientro dal mio congedo matrimoniale, dopo un mese trascorso tra festeggiamenti ipercalorici, nonché uberalcolici, e rilassanti giornate di mare, dove tutto è andato alla grandissima. E pure quel cantiere lungo nove mesi che porta alla paternità procede a gonfie vele. Ora però è tempo di tornare al lavoro e alla routine, piccola nota negativa comunque di secondo piano in quest’anno di importanti e felici cambiamenti. E poi, sembra un controsenso ma è così, con la routine torna anche un pochino di tempo da dedicare ai videogiochi, al cinema, alle serie tv. E a POL, magari ampliando un po’ la visione sconfinando al di là dei canoni del puro videoludere. Detto ciò, per un ex ragazzino cresciuto negli anni ottanta, poteva esserci occasione migliore del ritorno alla scrittura e alla regia di George Miller?

Dai, è inutile introdurre il personaggio, c’è Wikipedia e IMDB per quello, se siete su questa pagina ora non potete ignorare il ritorno di Mad Max nelle sale cinematografiche. Di questo quarto capitolo sottotitolato “Fury Road” ne stanno parlando e scrivendo tutti, con un buon 90% di apprezzamento ed una risicata minoranza di incontentabili. La perfezione unanime non esiste, ci mancherebbe, e ci sta che a qualcuno possa non piacere un film, ma la critica negativa (im)motivata con inesatta superficialità, da parte di alcuni blogger e podcaster italiani detentori della verità assoluta, quella no. Mi infastidisce la saccenteria controcorrente. Sia chiaro, certo non sono io il protettore della verità, e neppure faccio di tutta l’erba internettiana italiana (di cui sono regolare consumatore) un fascio, ma certe cose proprio non le posso sentire.


C’è chi ha lamentato l’assenza di trama, di tematiche concrete. Falso, assolutamente: in due ore esatte e senza tediare con i classici spiegoni verbosi, Miller descrive il suo mondo post-apocalittico con una quantità di dettagli visivi e situazionali esponenzialmente più abbondanti e chiari rispetto ai primi tre capitoli nonché alla media della produzione action (e non) recente. Ed in tale barocca raffigurazione inserisce una storia di leggendario eroismo come solo altre celebratissime pellicole possono vantare. “Sì bravo ad evitare spiegoni ma solo perché trama risicata e banale”: anche questa ho sentito. Banale? C’è l’atto eroico, il sacrificio, la redenzione, la fede, lo sfruttamento, la ribellione, la rinascita, l’amore. C’è tutto questo, e anche di più. Raccontato con poche parole, semplici sguardi, immagini, azione. Perché di film d’azione si tratta, e di quella ne offre una scorpacciata che pochi altri film “supereroici” hanno potuto vantare.  Che poi, personalmente, mille volte un 300 rispetto ad un pur buono The Avengers.. ma torniamo a Mad Max. Max, appunto. C’è chi dice che il personaggio ha un ruolo marginale, praticamente ininfluente sullo sviluppo narrativo. Ora, è vero che i protagonisti sono due, Max e Furiosa (non per niente “Fury Road”), ma la seconda non andrebbe molto lontano senza il primo, e sono proprio le scelte morali di Max, nonché le sue gesta, a supportare il tutto. E viceversa, per un connubio inedito alla serie ma sicuramente fresco, interessante e tutt’altro che svilente la figura del protagonista storico.

Che poi il suo volto è quello di Tom Hardy, il Bane dell’ultimo Batman ma soprattutto l’eccellente Tommy di Warrior (guardatelo questo se vi manca). Il suo Max Rockatansky è convincente, sofferto ma risoluto, solitario ma altruista, cupo ma capace di provare emozioni, soprattutto per una Charlize Teron che certo non raggiunge l’intensità di Monster ma ne concede abbondantemente al ruolo di Furiosa. Parte questa per alcuni, anzi i suddetti pochi, troppo stereotipata, per me assolutamente in linea con i temi di cui sopra. E che dire di Nicholas Hoult? Il bimbo di About a Boy (2002) nonché romantico zombie di Warm Bodies (2013), qui mette in scena una mutazione, tra rivelazione e redenzione, di un’intensità espressiva che lascia piacevolmente sorpresi, alternando ilarità e drammaticità senza mai tentennare.

L’ultima che ho sentito: i cattivi sono tutti uguali. Ora, senza entrare nel dettaglio, nel mettere in atto il lungo inseguimento che rappresenta il 95% del film, Miller mostra una stratificazione sociale, gerarchica, "professionale" e militare molto chiara, arricchita da elementi talmente fuori di testa da risultare assolutamente credibili in un contesto così sopra le righe ma coerente.


Quantomeno è pressoché unanime l’apprezzamento alla regia, alla fotografia, alla coreografia. E’ tutto una corsa e una danza e un cocktail di adrenalina senza soluzione di continuità, leggibilissimo anche nel fast-motion frequente grazie ad un sapiente utilizzo del “center framing”, incredibile nel suo ridotto utilizzo del computer in favore di stuntman, esplosioni e cappottamenti reali, maniacale nella cura creativa dei dettagli quanto potente all’ascolto.

Cos’altro volere in un film d’azione? Oltre le mie aspettative, oltre i limiti dei primi due memorabili capitoli (Interceptor del ’79 e The Road Warrior del ’81) e cancellando definitivamente il meh con cui il terzo episodio, featuring Tina Turner, aveva temporaneamente chiuso la serie. Uno scoppiettante, freschissimo regista settantenne che evidentemente tanto ha da insegnare ai colleghi, già affermati o meno, magari accompagnato da John Seale, geniale direttore della fotografia nato nel 1942. Oh, quindi guai a considerare un quarantenne, quale il sottoscritto, cosa passata. A proposito, quasi dimenticavo: addirittura c’è chi ha avuto l’ardore di affermare che chi celebra Fury Road come capolavoro non può essere che un quarantenne legato sentimentalmente agli anni ’80. Io lo sono, sicuramente. Ma ricordo capolavori in ogni decade, vissuta e non, ognuno con i propri stilemi tipici dell’epoca, se non anticipanti di quelli a venire. Ecco, a coloro che la pensano così, che questo Mad Max sia cosa da non-più-giovani, o che non sia capolavoro (non il primo in assoluto ma comunque tale) del cinema d’azione, rivolgo una sola domanda: tra quelli usciti negli ultimi 10 anni, ditemene almeno due o tre migliori, e perché li ritenete superiori. Sono molto, molto curioso.


P.S. Per tornare alle nostre care console, occorre proprio che palesi l’esaltazione interiore aka hype tremendissimo che mi accompagnerà fino al 4 Settembre, data d’uscita del Mad Max di Avalanche Studios (di cui potete gustare l’ultimo trailer qui sopra)? Formula openworld, stile visivo molto simile a Fury Road ma trama inedita. Ci sono le macchine truccatissime, Interceptor inclusa, le acconciature superpunk, il deserto, la follia, le belle donne, tutto. E a quanto sembra c’è pure il gameplay. Che altro volere? Ah sì, un nuovo film… e di fatto IMDB riporta che Mad Max: The Wasteland è stato già annunciato. Hardy confermato, di nuovo Miller alla regia. Ammiro.
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domenica 17 maggio 2015
Scelte illusorie?


Tra meno di 48 ore uscirà sul mercato uno dei titoli più attesi dagli appassionati negli ultimi anni. Sto parlando ovviamente di quel The Witcher 3: Wild Hunt che promette meraviglie da tutti punti di vista, non ultimo quello della narrazione, aspetto che ha da sempre contraddistinto positivamente la serie CD Project RED. Gli sviluppatori polacchi hanno ancora una volta posto molta enfasi sulla libertà concessa al videogiocatore, che nel terzo episodio della serie potrà, secondo quanto dichiarato, influenzare ancor di più con le proprie scelte il dipanarsi della storia. Questa presunta libertà decisionale, per ovvie ragioni ancora tutta da constatare nel titolo appena citato, è da sempre uno dei proclami più altisonanti di coloro che puntano forte su una narrazione ad effetto.
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giovedì 7 maggio 2015
Back to the future


Come ormai avrete capito, sto diventando un fermo sostenitore del gioco indie da sgranocchiare nelle (poche) ore libere. Ma non solo. Giocando a Wolfenstein: The New Order, recuperato con solo (!?) un anno di ritardo, mi sono reso conto che certe tipologie di giochi non esistono più. The New Order è una sorta di ultimo baluardo del videogioco vecchio stile. Dura 15-20 ore, non c’è traccia di multiplayer, è vario, impegnativo e longevo al punto giusto. Ma è concettualmente vecchio. Dopo, appunto, una ventina di ore, si ripone sullo scaffale, vero o digitale, e non lo si tocca più. Questo è un male? Per me no. Ma nell’attuale mercato dei videogiochi, dove si punta sempre più nell’evitare che l’utente riporti il gioco da GameStop nel giro di una settimana, rappresenta un esempio più unico che raro. Oltre a Wolfenstein, mi viene in mente solo The Order 1886, criticato proprio per la scarsa durata, la linearità e le troppe sequenze non interattive. E infatti centinaia di copie giacciono ora sugli scaffali dei numerosi punti vendita GameStop sparsi per il territorio italico.
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mercoledì 6 maggio 2015
Ansia da prestazioni


La parola “backlog” rappresenta ormai una costante della mia vita videoludica. Non bastassero le pile di giochi acquistati in preda alla classica sindrome da acquisto compulsivo di cui ho già avuto modo di parlare su queste stesse pagine, ad affollare cassetti e scaffali di casa mia contribuiscono con forza anche pigne di riviste non lette. Si tratta di una decina di numeri arretrati delle due pubblicazioni inglesi a cui sono abbonato ormai da circa dieci anni, quelle Edgegames™ che con i loro speciali e ed approfondimenti rappresentano l’ultimo flebile ma autorevole baluardo che resta alla carta stampata per non soccombere completamente all’online. Bene, proprio ieri sera leggendo un numero del 2014 di Edge mi sono imbattuto in un’interessante articolo riguardante la pubblicazione di The Last of Us Remastered per PS4, nel quale Neil Druckmann, creative director del titolo Naughty Dog, descriveva come il processo di conversione PS3 -> PS4 si fosse in realtà rivelato ben più complesso di quanto era stato preventivato e di quanto la gente possa essere portata a credere. 

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venerdì 1 maggio 2015
Torniamo sul palco!


Forse non tutti ricorderanno che fu Konami con Guitar Freaks a dare il la, nelle sale arcade di un lontano 1995, all’invasione delle finte chitarre di plastica. Non Harmonix, che però ebbe il merito di far esplodere una vera e propria mania globale in ambito domestico e non, proponendo il primo Guitar Hero per Playstation 2, sotto etichetta RedOctane, tra il 2005 e il 2006, aprendo così una serie che ha contato quasi venti capitoli in circa 5 anni, affiancati dalla concorrenza dei cinque titoli Rockband ad opera, guarda un po’, della stessa Harmonix, passata nel frattempo sotto Viacom.
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domenica 26 aprile 2015
Ma che Konami stai facendo??


Oggi piove, governo ladro. Ma va bene, ieri ho fatto serata ed il cielo grigio qui fuori rende l’idea divanata pomeridiana molto allettante. C’è pure il derby da vedere. Succedere però che, dopo 20 anni, il Toro torna a vincere la stracittadina, intristendo il mio cuore gobbo. Ma va bene così, #CiPuòStare, abbiamo perso solo un punto sulla Lazio, una giornata in meno alla fine, scudetto già in tasca. I commenti sui forum bianconeri concordano, non c’è molto altro da dire ed è presto per inchiodare la cassa Champions. Leggiamoci un po’ di news videogiocose va, che almeno lì di brutte notizie non ce n........ !!
Eh no eh!!!! Ditemi che state tutti scherzando, forza. OK mi avete fatto uno scherzo, ben congegnato bravi. Ma adesso seri dai. Dai. Ah, eravate già seri?
Ma por-BEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEP!
Silent Hills cancellato?!?!?!?!?!? Quel Silent Hills con la super S finale annunciato con il teaser giocabile più terrificante della storia del videogioco? Quel nuovo capito firmato da Kojima e Del Toro? Sì, proprio lui.
Prima questa mattina l’annuncio del ritiro di P.T. dal PSN, il prossimo mercoledì 29 Aprile. Scaricatelo se non l’avete mai fatto o se l’avete rimosso per far spazio. Potrebbe davvero essere l’ultima occasione, e la vostra PS4 potrebbe essere preziosa custode dell’esperimento di marketing più geniale della storia dell’industria consolara. Se non ricordate il perché, potete leggervi questo post dello scorso Agosto. Comunque, meriti o non meriti, non cambia nulla: rimosso. Notizia di suo già preoccupante, ma mille volte di più se combinata, ovviamente, a tutta la telenovela relativa al divorzio Konami-Kojima. Ci hanno confermato che il muovo Metal Gear Solid V uscirà, abbiamo una data, una special edition già prenotata dal 75% della redazione. Però nessun annuncio ufficiale riguardo SIlent Hills. Silenzio totale fino ad oggi, con P.T. depennato in tutta fretta come se fosse una scomoda vergogna. Poi, la pugnalata finale.

Silent Hills "is not gonna happen”. Che, se non vuol dire necessariamente cancellato, quanto meno riassegnato ad altri. Alle teorie dell’Hideo trolleggiante non posso credere, troppo machiavelliche e non adeguate ad un’azienda quotata a Wall Street. Mi aspetto comunicato ufficiale da quel di Tokyo non oltre domani, ma davvero vorrei entrare nelle teste del management Konami per capire quali siano le strategie per l’immediato futuro. Certo è che, da amante della serie, oggi il mio morale videoludico è crollato. Quello sportivo pure. Ed ora mi sento pure meteoropatico. Giornata di merda.
- SEGUONO AGGIRONAMENTI NEI COMMENTI QUI SOTTO -
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giovedì 23 aprile 2015
Sorry, I'm late. Again...


Tra circa un mese e mezzo ci troveremo tutti a commentare quanto mostrato dalle software house durante l’E3, fantasticando sui vari titoli in uscita nei mesi successivi. Un copione che si ripete ormai da diversi anni e che rappresenta sicuramente uno dei momenti cardine dell’annata videoludica. Proprio in questi giorni mi sono trovato a ripensare a quanto accaduto durante la kermesse losangelina dello scorso anno, ai titoli mostrati e alle aspettative verso un 2015 che sulla carta sembrava avere tutte le carte in regola per essere uno dei migliori anni della storia. L’utilizzo del tempo verbale passato non è casuale, perché buona parte delle frecce più appuntite presenti nella faretra dell’anno in corso sono improvvisamente sparite, vittime di glaciali comunicati stampa accomunati da tre parole: delayed to 2016.
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lunedì 13 aprile 2015
Molto Fast and very Curious


Da appassionato di racing game e da amante della serie Forza in entrambe le sue declinazioni (Motorsport ed Horizon), l’inaspettata notizia della pubblicazione di un’espansione stand alone di Horizon 2 brandizzata Fast & Furious mi ha lasciato sulle prime piuttosto diffidente. Il sospetto che si trattasse di una mera trovata pubblicitaria con poca carne al fuoco e molto advertising si è fatto largo dentro me, fomentato dalla notizia che il titolo sarebbe addirittura stato proposto gratuitamente per una decina di giorni. Invece i fatti mi hanno piacevolmente smentito, non perché questa espansione abbia arricchito in maniera particolare il prodotto principale (cosa che, invece, era riuscita in maniera più che efficace lo scorso anno a Storm Island), quanto perché, per come è stata strutturata e concepita, rappresenta indubbiamente un inedito ed interessante esperimento di marketing sul quale vale forse la pena soffermarsi.
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Io lo so che non sono solo



Anche quando sono solo, io lo so che non sono solo. Lo diceva Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, lo dice la giovane e indifesa protagonista di Never Alone. Anzi, Kisima Innitchuna, perché luogo, lingua e storia riguardano un popolo, quello eschimese, che vive nelle terre più fredde e inospitali dell’Alaska e che ancora oggi è legato a tradizioni e attività che si tramandano da numerose generazioni. Le recensioni lette nei mesi scorsi sono un mix di pareri differenti, che si dividono sostanzialmente tra chi ha amato il gioco e chi non ne è rimasto particolarmente colpito. Il metacritic su PlayStation 4, console sulla quale l’ho giocato, si attesta su un non troppo esaltante 73. Un gioco senza infamia e senza lode. Quindi perché giocarci considerando il mio ormai inquietante backlog? Nemmeno io ho una risposta razionale sulle motivazioni che mi hanno spinto a giocarlo, ma sono contento di aver fatto questa scelta.
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venerdì 10 aprile 2015
Quegli schiaffoni educativi di una volta... Bloodborne

Sono un novellino. Quattro decadi alle spalle, di cui 3 abbondanti trascorse col pad in mano, eppure sono ancora un videogiocatore novizio. Non lo sapevo fino ad una decina di giorni fa. Ho giocato e finito di tutto nella mia “carriera”, dai platform agli action, passando per strategici, puzzle e GDR. Centinaia e centinaia di titoli e titoloni. Certo ho incontrato delle difficoltà nel portare a termine giochi del calibro, a livello di sfida oltre che di qualità, di Ultimate Ghosts’n Goblins e Ninja Gaiden (giusto per citarne un paio di vecchia data) oppure per “millarne” o, meglio, “trestellarne” alcuni made by Nintendo. E’ innegabile che il trend recente abbia visto abbassarsi l’asticella della difficoltà della maggior parte dei videogiochi, riservando quel tipo di sfida scomunicante alle modalità “new game plus” oppure al gioco competitivo in multiplayer, ma mi ritenevo un giocatore esperto, di quelli magari non più ultra-reattivi (ahimè) ma capace di compensare con l’esperienza. Bene, mi sbagliavo.
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mercoledì 8 aprile 2015
Helldivers, il Destiny per tutti

Devo ammettere di non essere mai stato un fan di Bungie e dopo aver giocato ad Halo 3: ODST ho deciso che i loro titoli non facevano per me.
Ecco quindi che ho subito molto poco il fascino di Destiny e nemmeno l’offensiva a base di trailer su base settimanale, alpha  privata, beta pubblica e fiumi di preview e review sono mai riusciti a riaccendere il mio scarso interesse.
Se durante la settimana dell'uscita ho vacillato, quelle successive hanno definitivamente messo la parola fine alla mia possibile carriera nella galassia creata da Bungie: troppo l’impegno e la costanza richiesta per giocarci seriamente, malgrado parecchi amici abbiano tentato di tirarmi dentro.
Perché quindi oso confrontare Helldivers con Destiny? Semplice, perché in qualche modo Helldivers è stato il MIO Destiny.
Solo molto più immediato, semplice ma non per questo meno appassionante.
Helldivers si è fatto attendere parecchio e rappresenta il titolo di ritorno per Harrowhead, team svedese che fece il botto nel 2011 con Magicka, per poi non riuscire più a risalire la vetta della popolarità, nemmeno con il mediocre reboot di Gauntlet commissionato da Warner.
Oltretutto il team ha dovuto abbandonare la sua serie principe, rimasta nelle mani di Paradox, quindi è stato praticamente un obbligo lanciarsi su una nuova IP. I ragazzi nordici devono aver convinto sin dal principio con Helldivers, in quanto il gioco è stato firmato da Sony ed è diventato un’esclusiva per tutte le piattaforme PlayStation, Vita inclusa.
Il gameplay cooperativo è alla base del progetto, in quanto è possibile organizzare squadre fino a quattro giocatori per scendere su pianeti la cui struttura e obiettivi di missione sono generati dal server, ogni volta in modo differente.
Ad una prima occhiata, tutta la produzione è avvolta da quel sarcasmo che aveva reso celebre Starship Troopers: in questo caso dovremo combattere una guerra contro tre fazioni nemiche, ognuna delle quali minacciano la Super Terra, pianeta natale dell’umanità che va difeso in modo da mantenere lo stile di vita esagerato dei terrestri, esportando nel frattempo la democrazia, per utilizzare una frase alla quale i media sono ormai molto affezionati.
Ci si ritroverà quindi sulla propria nave, in rotta verso uno dei settori della galassia nella quale hanno luogo gli scontri, nel tentativo di guadagnare terreno fino a raggiungere i pianeti di origine delle tre razze aliene, per poi assaltarli e porre fine alle schermaglie.
Nel momento in cui scrivo il gioco è alla terza guerra globale, in quanto ogni vittoria riportata dai giocatori online serve a far progredire il conflitto, grazie a delle barre che indicano a che punto si trova l’avanzata umana rispetto agli alieni.
Sovrastruttura di gioco a parte, il gameplay è molto classico, sebbene non privo di novità interessanti.
Assemblata una propria squadra, con amici o perfetti sconosciuti, e scelto un pianeta sul quale atterrare, ci si ritroverà lanciati sulla superficie grazie ad una capsula. Al contatto con il suolo quest’ultima penetrerà nel terreno a causa dell’alta velocità di entrata nell’atmosfera ma preserverà il proprio personaggio, pronto ad eseguire la missione.
Il sistema twin stick standard sottende un sistema di controllo tradizionale, nel quale sprecare munizioni equivale a rischiare la pelle e prendere una raffica nella schiena, dovuto al fuoco amico sempre attivo, è abbastanza comune. Imperativo organizzarsi, quindi, cercando di aiutarsi l’un l’altro verso i vari obiettivi presenti in ogni mappa.
Importantissimi quelli che vengono definiti stratagemmi, da far scendere dall’orbita in capsule simili a quelle utilizzate per le truppe, eseguendo sequenze di pressioni specifiche delle frecce direzionali del d-pad. Queste ultime sono decisamente complesse da eseguire se sotto il fuoco nemico e possono far perdere parecchio tempo e concentrazione, soprattutto perché vengono utilizzare anche per determinati obiettivi di missione, come la riattivazione di una base missilistica del pianeta o lo spegnimento di un generatore che blocca le comunicazioni nel bel mezzo di una base avversaria.
Il bello di Helldivers, però, sta tutto nell’immediatezza: nel giro di pochi istanti si assembla una squadra e si inizia a triturare alieni, sbloccando potenziamenti per armi ed equipaggiamento che formano un sistema di progressione ottimamente bilanciato, che spinge a tornare spesso a giocare, anche solo per una missione da un quarto d’ora.
Ecco quindi perché Helldivers è il titolo online perfetto per chi ha poco tempo e scarsa costanza: la guerra va avanti anche senza di noi e entrare in gioco dopo una settimana di pausa non è assolutamente un problema. Inoltre si trovano sempre giocatori online e la necessità di organizzarsi è adeguata alla tipologia di gioco, quindi basta utilizzare i messaggi preimpostati e non sarà difficile trasformare un gruppo di quattro utenti che non si conoscono nemmeno in una perfetta macchina da battaglia, anche senza utilizzare la chat vocale.
Certo, accadrà spesso di rimanere vittima di una torretta posizionata dai propri compagni in un punto non particolarmente felice, oppure di venire schiacciati da un mech del proprio gruppo che sta falcidiando un’unità nemica senza prestare particolare attenzione ai compagni. Sono però situazioni che fanno parte del gameplay e che, anzi, generano momenti di grande ilarità.
Insomma, Helldivers può soddisfare la vostra sete di sparatutto online sci-fi, offrendo un gameplay rilassato ma profondo, al quale tornare senza la sensazione di non essere mai all’altezza o di perdersi qualcosa per non aver effettuato il login se non per una mezz’ora ogni fine settimana.
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venerdì 3 aprile 2015
Il gioco della bottiglia


Mentre guardavo in differita l’ultimo Nintendo Direct, ho pensato a come sia cambiata la condizione del colosso di Kyoto nel giro di pochi anni: da tutti la vogliono a nessuno se la piglia. Un po’ come nel gioco della bottiglia (e come non ricordare Tapparella), dove rischi di non essere mai scelto o di dover baciare quella brutta della compagnia. La situazione è un po’ quella, nonostante i tentativi di dare in pasto qualcosa di nuovo all’affamata utenza Wii U. Tipo con le figurine “celo, celo, manca”, ma qui è “manca, manca, manca”. Metroid è missing in action, atteso come il nuovo Messia dai fan Nintendo ma a questo punto destinato a non arrivare su Wii U, Mario è arrivato ma in una versione decisamente più blanda rispetto alle due meraviglie per Wii (intendo i due Super Mario Galaxy), Zelda… è finito al 2016. Su quale console? Wii U o NX? Buona domanda. Eppure, in mezzo a decine di pupazzetti, ci sono diversi titoli degni di nota...
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giovedì 2 aprile 2015
Gaming Effect - Episodio 41


Fin dagli albori i videogiochi sono stati infarciti di easter egg e contenuti nascosti.
A volte comici, altre folli o perfino inquietanti, sono progressivamente diventati una costante, al punto da venir cercati con attenzione dai fan, per poi darne notizia online facendoli diventare virali.
Ne ripercorriamo quindi la storia, dagli inizi fino alle ultime uscite, decretando quello che per noi è il migliore e che abbiamo quindi ripreso anche per la locandina dell’episodio.
Potete ascoltare / scaricare l'episodio:
 
Buon ascolto! Come sempre, se vi va di commentare, qui o sulla pagina ufficiale di Gaming Effect, siete i benvenuti.
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mercoledì 1 aprile 2015
Good Night... Good Luck


Non più tardi di un mese fa, proprio su queste stesse pagine, parlai di come negli ultimi mesi stessi attraversando uno di quei periodi di stanca tipici della mia carriera di giocatore, momenti più o meno lunghi duranti i quali la passione per il videogioco si affievolisce, forse perché non solleticata a dovere dal titolo giusto al momento giusto. Bene, con l’arrivo fra le mura domestiche di Dying Light penso di aver trovato la medicina giusta al mio malanno. Un malanno che, è bene dirlo, si era addirittura aggravato con la deludente esperienza di The Order, titolo talmente guidato e scarsamente interattivo da risultare noioso e claustrofobico per un amante degli open world come me. Avevo quindi bisogno di tornare a prendere aria, e quella della città di Harran, anche se pregna di malsani odori di cadaveri putrefatti, si è rivelata un vero e proprio toccasana per i miei polmoni videoludici. In realtà tenevo d’occhio il titolo Techland già dai tempi del suo annuncio, un po’ per una particolare predilezione per il tema zombie, un po’ per quella strizzata d’occhio al tanto amato Mirror’s Edge che faceva apparire quantomeno prematura la bollatura di semplice “Dead Island con salti” che buona parte della stampa aveva frettolosamente apposto sul titolo degli sviluppatori polacchi. Beh, fortunatamente ci avevo visto giusto.
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martedì 31 marzo 2015
White Night


No, non si tratta di quelle notti bianche in cui i negozi stanno aperti fino a tardi e noi ometti siamo pressoché costretti ad abbandonare il sacro divano ed il divino pad/telecomando per accompagnare l’amica/fidanzata/moglie/amante che sia alla ricerca del sandaletto definitivo. E nemmeno di quelle notti IN bianco di un passato notturno speso tra locali e storie d’amore stroncate sul nascere. E nemmeno di quelle future, anzi imminenti, che vivrò in quanto padre.
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Ritorno di fiamma



Posso dire con assoluta convinzione che Final Fantasy è la serie che più mi ha formato nel periodo adolescenziale. Lo ammetto, non ho giocato ai primi sei capitoli della serie, intanto perché non ho mai avuto NES e SNES, e soprattutto perché il mio amore per i JRPG è sbocciato solamente dopo l’acquisto della prima PlayStation. Come tutti gli amori, si vivono periodi di grande passione ed altri di appannamento e raffreddamento. L’amore passionale è nato con la trilogia su PlayStation, poi c’è stato l’amore maturo e consapevole, su PlayStation 2 e Xbox 360, dapprima con Final Fantasy X, X-2 e XII e successivamente con oltre un anno trascorso a scorrazzare su Vana’Diel, mondo persistente di Final Fantasy XI, prima iterazione online della famosa saga.
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mercoledì 11 marzo 2015
Il tempo è denaro. O forse no...


The Order: 1886 è sicuramente un prodotto controverso. Presentato da Sony come la prima vera esclusiva tripla A per PlayStation 4, il titolo sviluppato da Ready At Dawn nel momento in cui scrivo si assesta su una valutazione Metacritic pari a 65. Di sicuro non un bel biglietto da visita… Sul titolo di casa Sony si sono scagliate le critiche non solo della stampa specializzata, ma anche degli utenti, contrariati da un gameplay eccessivamente teleguidato e da una durata complessiva dell’esperienza di gioco giudicata insoddisfacente (anche in virtù dell’assenza del mulitplayer online). Ad onor del vero, a fare da contraltare a questi giudizi negativi, si sono levate anche le voci di giocatori che, stanchi di titoli open world iper vasti che per essere completati richiedono oltre 20 ore di gioco, hanno in qualche modo finito per gradire il gameplay per certi versi anacronistico di The Order.
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martedì 10 marzo 2015
Superfantagenio



Mi è sempre piaciuto il genio della lampada. Sarà che sono cresciuto con i film di Bud Spencer tatuati nella mente, o forse per l’esoticità del personaggio. D’altronde chi non amerebbe una persona in grado di esaudire ben tre desideri? Io ho le idee ben chiare su quelli che esprimerei, ma ovviamente non li dico. Per celebrare l’acquisto del nuovo e fiammante New Nintendo 3DS ho deciso di cimentarmi con un gioco per il gioiellino appena acquistato e trascurare per qualche giorno le ben più utilizzate console casalinghe. E quale avrò scelto per testarne le capacità? Monster Hunter 4 Ultimate? Sbagliato. The Legend of Zelda: Majora’s Mask 3D? Manco per sogno. Ho scelto… Shantae and The Pirate’s Curse! Vedo già le facce un po’ spaesate delle persone che stanno leggendo. Perché un gioco scaricabile su Nintendo eShop e non uno dei nuovi tripla A usciti su New Nintendo 3DS? Semplicemente perché è un bel gioco, nonché il terzo episodio (dafuq) di una non troppo conosciuta saga ideata da WayForward, team da tempo allenato nella realizzazione di ottimi metroidvania per le più svariate console portatili e casalinghe.
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martedì 3 marzo 2015
Taccuino di un vecchio sporcaccione videoludico


Secondo me l’età spesso inaridisce il cuore. Riduce l’intensità percepita delle emozioni presenti, che risulteranno sempre inferiori alle emozioni provate in passato. Questo spiega l’effetto vecchiaia per il quale ai vecchi non va mai bene niente. La sindrome “una volta era tutto più bello”. In quanto giocatore di centipede al bar quando era una novità, io sono un vecchio della fruizione videoludica. Ho ben chiaro l’effetto vecchiaia che ho descritto, perché fa parte di me: per me i videogiochi odierni molto raramente reggono un confronto con i capolavori del passato. Nonostante sia consapevole di questo, la mia perversione è tale che continuo saltuariamente a giocare, alla ricerca delle emozioni intense del passato. Ecco spiegato l’aggettivo sporcaccione di cui mi faccio fregio e mi vanto.
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domenica 1 marzo 2015
Il mio gusto che cambia, nella forma e nel colore


A volte non riesco a capire se il diventare vecchio mi stia rendendo più acido o comprensivo. Ci sono quelle volte in cui mi sento come un vecchio rompipalle, un po’ come Abraham Simpson insomma. Quell'anziano scorbutico e ormai prossimo al rincoglionimento. Ultimamente però mi capita ancora più spesso di sentirmi come un appartenente ad una minoranza etnica. Un po’ tipo quelle donne afroamericane che fanno di no con l’indice e nel farlo ti fulminano con lo sguardo. Perlomeno in campo videoludico è così che mi sento. Troppo spesso mi capita di trovarmi in disaccordo con quello che piace o non piace alla massa critica. D'altronde ho sempre pensato che uniformarsi ti faccia sentire parte di una comunità, ma sia anche un affossamento della propria unicità. Insomma, niente Colmar, indossato dal 99.9% periodico (come direbbe erroneamente Adriano Galliani) dei giovani tra i 15 ed i 25 anni, e un’idea ben precisa in testa di quello che mi coinvolge, piace ed emoziona. Il problema è che ultimamente le mie convinzioni di capacità critica stanno venendo meno, perché mi capita spesso di farmi coinvolgere da titoli non amati dalle masse. E le recenti critiche che hanno coinvolto The Order 1886 ne sono la testimonianza.
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sabato 28 febbraio 2015
Periodi di stanca


La mia lunga “carriera” da videogiocatore, cominciata circa 30 anni or sono con il mitico Commodore 64, è stata sempre caratterizzata da una certa continuità. Si tratta, insomma, di un rapporto di amore piuttosto duraturo, raramente inficiato da tradimenti che ne abbiano minato le basi in profondità. Tuttavia, come è forse naturale che accada in tutti i rapporti che si protraggono per lunghi periodi, ci sono state e ci sono ancora delle fasi che non mi spingerei a definire di stanca, ma mi limiterei a definire interlocutorie, quasi come di tanto in tanto avessi bisogno di rifiatare, di ridare ossigeno alla fiamma. In quest’ultimo periodo (diciamo da poco prima di Natale in poi) sto attraversando proprio una di queste fasi.
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venerdì 27 febbraio 2015
L’ultima poi smetto, giuro! – Alto’s Adventure


Premessa: non sono mai stato né fruitore né estimatore degli endless runner, e sicuramente nel tentare di giudicare questo Alto’s Adventure non dispongo di alcun metro di paragone specifico. Ma siamo tra amici e si tratta di opinioni libere, questa non è una recensione “commerciale” (come nessun post qui su POL) ma semplicemente un parere sulla mia esperienza. Parere che sarei curioso di confrontare con il vostro tramite commenti qui sotto ;)
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mercoledì 25 febbraio 2015
Gaming Effect - Episodio 40

 

Fino alla generazione di PlayStation 2, GameCube e Xbox era semplice dedicarsi al retrogaming: bastava avere a disposizione l’hardware e il proprio disco o cartuccia. Una volta inserita l’alimentazione e il supporto con il gioco, si era pronti a tuffarsi nel passato, giocando allo stesso identico titolo disponibile in quell’epoca.
La connessione online delle console ha però cambiato tutto: digital delivery, patch, del day one e successive, DLC e multiplayer renderanno difficile la vita a chi si vorrà dedicare al retrogaming in futuro.
C’è soluzione?
 
Potete ascoltare / scaricare l'episodio:

           - dal sito ufficiale di Gaming Effect
 
           - da iTunes
 
           - su EveryEye (che gentilmente ci ospita)
 
Buon ascolto! Come sempre, se vi va di commentare, qui o sulla pagina ufficiale di Gaming Effect, siete i benvenuti.
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domenica 22 febbraio 2015
Oculus Rift: 10 mesi dopo



Premessa: l'articolo contiene diversi link a video che consentono di comprendere meglio la natura di alcune esperienze descritte.

Nell’aprile del 2014, insieme alla redazione di Gaming Effect, decidemmo di dedicare una puntata del podcast al prepotente ritorno sulle scene della realtà virtuale. L’acquisizione di Oculus VR ad opera di Facebook e l’annuncio del mirabolante Project Morpheus da parte di Sony (a proposito, che fine ha fatto?) costituirono conferma del ritrovato interesse dell’industria hi-tech verso una forma di interazione che, dopo gli avveniristici (e a tratti goffi) tentativi dei primi anni ’90, sembrava essere finita nel più polveroso dei dimenticatoi. Così, complice anche la disponibilità del primo Development Kit di Oculus Rift, cogliemmo l’occasione per provare sul campo le prime demo sviluppate per il visore ideato da Palmer Luckey.
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giovedì 19 febbraio 2015
This time I cannot believe – SmartEyeglass


Oculus VR ha per prima, in questo millennio, ripreso seriamente il sogno di un visore 3D, chimera che si sta avvicinando sempre più ad una realtà finalmente fruibile e concreta. Da tempo i big dell’industria hi-tec si sono messi in scia, Samsung con Gear VR (anyway powered by Oculus VR), Google con la sua visione low-cost (e di ben differente prospettiva) nota come Cardboard, infine Sony col suo Project Morpheus, unico reale e diretto concorrente al Rift, nel frattempo divenuto proprietà di Zuckerberg e soci.

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mercoledì 18 febbraio 2015
Elefthería í thánatos


Apotheon è condensabile in una delle più celebri frasi del greco antico: libertà o morte. Il popolo è oppresso dalla furia degli dei, che bruciano le terre coltivate e distruggono quanto costruito con fatica dall'uomo. Ed è proprio un uomo a ribellarsi a questa insostenibile situazione: Nikandreos si fa portavoce degli oppressi e proprio con l’aiuto di una Dea, la moglie di Zeus, parte per un lungo viaggio sull'Olimpo nel tentativo di impadronirsi delle armi e abilità degli Dei. Il giocatore dovrà quindi far fuori in rapida successione Apollo, Artemide, Ade, Atena, Ares, Poseidone e per ultimo proprio Zeus, in modo da riportare la pace e prosperità sulla Terra.
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mercoledì 11 febbraio 2015
Un capitano, c'è solo un capitano!


Non mi riferisco a Francesco Totti. Ne mi riferisco alla polemica innescata su Facebook da Matteo Salvini sulla fascia da capitano recapitata a Sulley Muntari durante la recentissima partita di campionato che vedeva il Milan opposto alla Juventus. Stranamente non sto parlando di calcio. Parlo del capitano Nintendiano che finalmente esce dal mondo di quel personaggio ruba scena che risponde al nome di Mario per diventare protagonista di un gioco tutto suo. Insomma, mi riferisco a Captain Toad: Treasure Tracker, che in realtà nasce da una costola di Super Mario 3D World, passando a conti fatti da mini-gioco atto a riempitivo dell’esperienza platformica con il solito italico idraulico, a vero e proprio titolo standalone con Toad come personaggio principale. Rimane pur vero che Toad continua ad avere il carisma di una Sottiletta Kraft, ma si tratta perlomeno di un esperimento da parte di Nintendo per una variazione sul tema platform e per dare qualcosa di nuovo in pasto agli affamati acquirenti di Wii U.
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giovedì 5 febbraio 2015
Se il buongiorno si vede dal mattino… Life is Strange Ep.1


Ho sempre qualche remora a lanciarmi sui sempre più diffusi titoli ad episodi, non certo per le aspettative in termini contenutistici ma per la lunga attesa tra un capitolo ed il successivo: personalmente credo spezzino esageratamente il ritmo dell’esperienza, tanto più che nei videogiochi non si tratta di episodi settimanali come in TV ma, solitamente, di uscite molto più diluite nel tempo (in questo caso, la cadenza dichiarata è di 6 settimane). Certo, potrei attendere che il season finale sia disponibile e poi spararmi il tutto senza interruzioni ma… sono un debole e non resisto al richiamo di un bel trailer ed al fascino di un cliffhanger ben studiato, soprattutto se in giro per la rete leggo immediato entusiasmo.
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