venerdì 23 gennaio 2015
I want to believe. In Microsoft. Again. – HoloLens


Mentre tutti ritenevano Microsoft già in ritardo in una corsa, quella dei visori 3D, cui avrebbe comunque dovuto partecipare, l’azienda fondata da Bill Gates ha sorpreso tutti presentando un progetto sì in quel contesto, ma sostanzialmente diverso e forse anche più innovativo. Nonché, sulla carta, copiosamente più fruibile.

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mercoledì 21 gennaio 2015
Sindrome da acquisto compulsivo



L'altro giorno sono stato inaspettatamente preso dalla nostalgia canaglia. No, tranquilli… Al Bano e Romina non c'entrano. Semplicemente, facendo ordine tra le numerose riviste di videogiochi che conservo, mi sono imbattuto nel numero 89 di Retro Gamer, ottima rivista inglese della quale acquisto di tanto in tanto qualche numero quando sono particolarmente interessato agli argomenti trattati. In quell'aprile del 2011, ad attirarmi fu uno dei numerosi speciali dedicati al Commodore 64, con tanto di listone dei titoli che ogni appassionato del glorioso personal computer color cachi dovrebbe ricordare o quantomeno conoscere.
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The Swapper


Nella solitudine dello spazio profondo la sfida, psicologica, è con sé stessi.
Con i molti sé stessi.


Sì, sono ancora scottato dalla figura barbina rimediata nell’ultimo episodio del podcast di Gaming Effect, in cui, ripercorrendo il lungo elenco di titoli indie omaggiati da Microsoft e Sony nel corso del 2014, il mio contributo è stato sostanzialmente un alternarsi di “No, non l’ho giocato” e “Avrei voluto ma...”. Eppure a detta dei colleghi alcuni di essi sono più che meritevoli di attenzione. E il mio alibi del “poco tempo a disposizione” è miseramente crollato quando, stilando la mia Top Ten, ho realizzato di aver giocato e terminato un considerevole numero di titoli, ma di cui solo una piccola quantità di origine indipendente. Con l’avvento quindi del nuovo anno, eccomi qui a compilare il solito, breve elenco di buoni propositi. Sì c’è ancora lo “smettere di fumare”, stavolta ce la devo fare. E poi quello di diventare persona seria, a quarant’anni ormai dovrebbe essere uno stato di default ma… sorvoliamo. Comunque ho due punti anche in ambito videoludico: il primo quello di resistere alla tentazione New Nintendo 3DS con Majora’s Mask… e vabbè. Il secondo, che contro ogni realistica previsione sto già mettendo in atto, è quello di concedere più tempo alle produzioni “minori”, quanto meno quelle già incensate dalla critica di fiducia. Quindi, dopo aver goduto delle forti sensazioni retrò offerte da Shovel Knight, ho pensato di accettare l’offerta mensile dell’Instant Game Collection di Sony per dare un’occhiata a The Swapper, e ne sono rimasto catturato.


Sviluppato e prodotto dallo studio Finlandese Facepalm Games e rilasciato su PC nel lontano 2013, The Swapper ha raggiunto le piattaforme Sony (tutte, ed è pure in cross-buy… for free) grazie alla collaborazione con Curve Studios, ormai veri esperti di porting su console. In sostanza, il gioco è definibile come un twin stick puzzle platform bidimensionale ad ambientazione sci-fi. Chiaro no? Seppur basato su regole differenti, mi ha ricordato in qualche modo il pastelloso Braid di Jonathan Blow o ancor più il monocromatico Closure di EyeBrow Interactive: una combinazione dei due, riveduta ed innovata nel gameplay e nel setting, con un’atmosfera generale ed uno stile visivo, meglio dire audio-visivo, molto più vicini ai miei gusti, con i suoi ambienti da fantascienza à la Cuaron/Soderbergh ed un accompagnamento musicale che trasmette con gusto, delicatezza ed efficacia i temi di sopravvivenza, solitudine, di conflitto interiore e di disastro già compiuto. 

Protagonista è un solitario cosmonauta vestito di tuta pressurizzata (volto e nome ignoti), ritrovatosi su di una stazione spaziale apparentemente, inspiegabilmente, abbandonata. Non è dotato di particolari capacità atletiche: certo può camminare, compiere semplici balzi, spostare piccoli blocchi o attivare interruttori, ma nulla più. Però al suo arrivo sulla stazione trova un semplice, potentissimo strumento: lo Swapper. Prodotto sfruttando tecnologia aliena (forse la stessa che ha fatto sparire l’intera popolazione della gigantesca struttura teatro dell’avventura), tale ipertecnologico utensile consente all’utilizzatore di proiettare (a mo’ di torcia) fino a quattro cloni di se stesso, perfette copie organiche, tanto fedeli da riprodurre all’istante ogni movenza del creatore. Questa la prima funzione. La seconda consiste nel trasferire la propria “anima”, quindi il controllo totale dell’azione e la capacità di usare lo Swapper stesso, ad un altro clone, tramite un raggio “beam”. That’s all. Le capacità del protagonista finiscono qui, e devono bastare a risolvere puzzle illumino-ambientali al fine di raccogliere sfere energetiche utili all’attivazione di terminali sblocca aree.


Puzzle che si basano su poche semplici, rigidissime regole:

- Si muore, azzerando ogni progresso nella “stanza” occupata, solo quando il clone principale, quello che trasporta l’”anima”, muore. Gli altri cloni sono sacrificabili a piacimento, solitamente schiantandoli al suolo, o ricongiungibili all’originale tramite contatto fisico,  e per ogni replica viva in meno una nuova se ne può proiettare, sempre per un totale di 4 più l’originale in vita sullo schermo. E spostandosi da un'area all’altra i cloni svaniscono
- Lo Swapper produce un clone nel punto esatto in cui lo si può proiettare visivamente, a patto che tale punto nello spazio non sia illuminato da luce blu
- Il raggio beam, quello che trasferisce l’anima, non attraversa le luci rosse
- La gravità, mancante o artificiale

È tutto. Lo Swapper non si potenzia, il personaggio non acquisisce nuove abilità. Tutto. Qui. Ma è stato pienamente sufficiente ai designer per creare una sessantina (o forse più) di puzzle unici, mai ripetitivi e sempre intriganti. La bontà del risultato è talmente evidente da sottintendere l’enorme, sapiente lavoro di studio dietro ad ogni livello.

Il gameplay è sempre ragionato, ben bilanciato nell’offrire una sfida in costante crescita. Il ritmo è rilassato, perfetto per darsi una tregua dalla frenesia quotidiana o d’altra natura videoludica. C’è del backtracking ma non è mai eccessivo, grazie alla presenza di portali per il teletrasporto all’interno della stazione. Ogni elemento ludico è sapientemente dosato e implementato in modo certosino, innestandosi in un contesto narrativo-psicologico molto... potente. C’è una sorta di “lore” costruito sui classici log testuali, ma la peculiarità qui è la bilateralità: da un lato, i messaggi lasciati nei terminali ricostruiscono ciò che è successo sulla stazione dal punto di vista dei malcapitati terrestri; dall’altro, tramite i pensieri di xeno-monoliti senzienti e attenti alle azioni del protagonista, ci si addentra nella natura aliena e in come essa si rapporti ai temi umani, in una forma di confronto psico-filosofico focalizzato sul concetto stesso di esistenza, sopravvivenza e fine. Idea che permea il gameplay stesso, dove duplicazione, transfer e sacrificio della di sé copia organica possono rappresentare la riproduzione come chiave della continuità della specie oltre la morte dell’individuo. Pure le brevi sessioni nel silenzio assoluto del vuoto cosmico, dove il beamer assume la funzione di propulsore e la perdita di un riferimento gravitazionale si fa visivamente concreta, seppur superflue alla pura meccanica ludica non rappresentando alcuna sfida concreta, amplificano la percezione ambientale, la consapevolezza del contesto orbitale, rendendo il concetto di spazio vuoto tangibile ed opprimente. 


Sensazioni trasmesse tramite il gameplay appunto, ma anche con il semplice ma ottimo comparto visivo, con l’accompagnamento musicale ed i suoni ambientali. C’è qualità in ogni singolo componente, qualità che si riassume in emozioni, in pensieri durante e dopo ogni sessioni di gioco. Qualcuno, leggo, lamenta una certa brevità dell’avventura, parlando di non più di quattro ore per completarlo. Bè, senza l’uso di alcuna guida, io ne avrò impiegate quasi il doppio. Sarò lento io forse, ma il parametro quantità qui è irrilevante. 

The Swapper è pregno di atmosfera, dimostra intelligenza, discute di morale. Per me, trattasi di una piccola, rara gemma. E se non sarà il mio titolo indie preferito di questo 2015 vorrà dire che sarà stato un anno straordinario in quello specifico contesto. 

PS: Vi ricordo che al momento è gratis con PlayStation Plus, quindi che aspettate?

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domenica 18 gennaio 2015
Regista per un’ora


Non voglio essere tacciato subito di blasfemia. Quindi faccio questa affermazione mettendo le mani avanti e sperando di non perire tra le fiamme degli inferi. Non esistono i dieci comandamenti del buon videogiocatore, ma direi che dovrebbero inventarli. E se esistessero uno sarebbe sicuramente “rispetta la parola di Hideo Kojima”. Io da buon seguace del genio giapponese, mi sono imbattuto un paio di mesi fa nel botta e risposta con lo sviluppatore di un gioco indipendente uscito su piattaforme iOS, Framed. In pratica pare che questo sia il GOTY 2014 di Kojima. Anzi, tolgo il pare. Lo è. E chi sono io per non ascoltare le parole del profeta dagli occhi a mandorla? Digerito il pandoro con crema al mascarpone mangiato a Natale, mi sono subito fiondato su Apple Store e pagato l’obolo da 4,99 euro per scaricarlo. Avrò mica fatto una “cagata pazzesca”?
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venerdì 16 gennaio 2015
Sussulti nintendiani di inizio anno


Si suol dire che chi ben comincia è a metà dell’opera. Ma si dice anche che non ci sono più le mezze stagioni e che si stava meglio quando si stava peggio. Quindi non si sa con certezza se il sussulto (o forse più un singulto) di Nintendo sia di buon auspicio per il resto del 2015. L’unica cosa certa è che l’anno appena terminato si è rivelato come uno dei più desolanti di sempre per l’azienda con base a Kyoto, in modo particolare guardando le (scarse) vendite di Wii U. Le motivazioni sono sempre le stesse, dal mancato supporto delle terze parti alla non esaltante potenza della console stessa, elemento che rende difficile il porting di titoli nati su Xbox One e PlayStation 4. Mettiamoci poi le difficoltà intrinseche di Nintendo di regolarizzare il flusso delle uscite e la frittata è fatta. Sì, perché al di là di titoli importanti e di successo come Mario Kart 8, Super Smash Bros. e Bayonetta 2, nel 2014 è rimasto impresso ben poco nella memoria degli acquirenti della console.
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giovedì 15 gennaio 2015
Scavando nel passato – Shovel Knight


Siamo a Gennaio e come di consueto è tempo per tutti i critici di settore di stilare le proprie classifiche dei migliori giochi dell’anno appena concluso, liste che un po’ ovunque sia sui siti italici sia sulle principali testate internazioni hanno incluso diversi titoli indipendenti. Di questo abbiamo parlato estensivamente nell’ultima puntata di Gaming Effect, quindi non intendo riaprire il discorso ora. Piuttosto, sono stato incuriosito da alcuni di quei titoli indie da molti ritenuti meritevoli di un posto in Top 10 ma da me ahimè mancati durante il 2014, per mancanza di tempo o sovrabbondanza di scelta, oppure semplice diffidenza. Poco importa. Tre sono quelli che ho incluso nel mio backlog di cui uno proprio in cima alla lista. Sarà stata la voglia di Wii U o, meglio, la curiosità di giocare tale titolo sul paddone, che il primo titolo completato in questo nuovo anno è stato Shovel Knight.
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mercoledì 14 gennaio 2015
Gaming Effect - Episodio 39



Incredibile ma vero, due puntate di Gaming Effect in neanche un mese! :-)

Nella puntata numero 39, la redazione del podcast (la stessa di PlayOffLine), prendendo spunto dalla discussa top 10 pubblicata dal Time sul finire del 2014, torna a parlare del fenomeno indie.
Questo tipo di titoli ha davvero conquistato un ruolo di primo piano nell'industria videoludica? 
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venerdì 9 gennaio 2015
Tanto rumore per nulla?


Gli echi del pesante attacco informatico che ha messo K.O. Xbox Live e PlayStation Network durante le festività natalizie non si sono ancora spenti. Il popolo di internet, videogiocante o meno poco importa, continua a porsi grossi interrogativi su quello che è accaduto. C'è chi si domanda dove sia finita quella sorta di "etica" che gli hacker si sono sempre vantati di possedere. C'è chi si comincia a convincere che dietro a tutto questo si nasconda solo una bizzarra idea di business. C'è chi riporta le notizie dei primi arresti ai danni di questi criminali (perché di questo si tratta) e chi, molto più semplicemente, continua legittimamente a domandarsi in quali (cattive) mani si trovino i nostri poveri dati personali...

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Garden Warfare, lo shooter per tutti che nessuno ha giocato


Praticamente ogni publisher di una certa caratura ha approfittato del PlayStation Experience, partecipando con un nuovo annuncio, un trailer inedito di un prodotto in arrivo, una feature esclusiva per le piattaforme Sony.
EA non ha annunciato nulla di interessante ma piuttosto di perdere l’occasione, ha regalato tre giochi in modo da far parlare di sé, uno per ogni console Sony attualmente disponibile sul mercato.
Per PlayStation 3 ha offerto il mai dimenticato Mirror’s Edge mentre per PS Vita è stato il turno di Need for Speed Most Wanted, la versione meno convincente del racing game di Criterion ma comunque un mezzo miracolo sul piccolo schermo della console portatile.
Due giochi datati, quindi, affiancati però da Plants Vs. Zombies Garden Warfare per PlayStation 4, decisamente più recente.

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mercoledì 7 gennaio 2015
Nozze di Platinum


L’amore per i videogiochi è solitamente passionale, può essere dirompente così come vivere periodi di profonda crisi. Nel corso degli anni mi è più volte capitato di innamorarmi e disamorarmi di questa ormai trentennale passione. A volte sono i videogiochi a farsi odiare in maniera viscerale, altre volte sono così meravigliosi da riaccendere in me la fiammella. C’è chi riesce meglio in una cosa e chi nell’altra. Chi riesce a farmeli amare follemente è di sicuro Hideki Kamiya, game designer passato prima da Capcom, poi presso quella fucina d’idee chiamata Clover Studio ed ora pedina fondamentale di quello che si può definire come uno dei migliori team di sviluppo indipendenti con sede in Giappone. Qualcuno potrà dire che in realtà non ne sono rimasti molti. Vero, anzi… verissimo. Ma è altrettanto vero che è davvero difficile rimanere indifferenti di fronte alle migliori produzioni di Platinum Games. Bisogna odiare il modo di fare videogiochi tipico dei nipponici per non rimanere perlomeno incuriositi dalla profonda giocabilità di titoli come Vanquish, Metal Gear Rising Revengeance o The Wonderful 101. Per non parlare di quel capolavoro chiamato Bayonetta. Appunto, è proprio della strega Cereza che devo parlare...
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lunedì 5 gennaio 2015
Botte da orbi in amicizia! - UFC


Ricordo molto bene quel giorno in cui estrassi la centottantamilalire per una cartuccia import di quella meraviglia che era, ed è, Street Fighter II per SNES. E, anni dopo, l’incanto provando per la prima volta, la prima di mille, SoulCalibur su Dreamcast. Lasciando, nel mentre, quintali di gettoni nei cabinati dei beat’em up Capcom e Sega. SNK... No, i loro mai apprezzati, e nemmeno provati più di tanto a dire il vero. Ma in generale ho sempre speso parte del mio tempo ludico coi picchiaduro, soprattutto in quel contesto multiplayer dettato dell’amico che passa a trovarti per un caffè o una birra. La formula per l’occasione è sempre stata un’alternanza tra il gioco di calcio del momento, quello di macchinine e poi quello “da fare a botte”. O, meglio, quelli. Perché ne esistono, per quanto mi riguarda, sostanzialmente due tipi: c’è il picchiaduro veloce e coi super poteri à la Hadouken, e poi ci sono i giochi di combattimento più “seriosi”, intenti a rappresentare discipline sportive e arti marziali.


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